Cultura e spettacolo 06 ottobre 2024, 05:20

Forrest Gump: 30 anni di emozioni e lezioni di vita

Monica Bottura

Forrest Gump: 30 anni di emozioni e lezioni di vita

Era il 6 ottobre 1994 quando gli italiani, davanti al grande schermo, sentirono per la prima volta uno strano uomo che, su una panchina alla fermata di un autobus si presentava a chi gli era seduto accanto, “Mi chiamo Forrest, Forrest Gump”… e come recitava la locandina affissa a fianco dell’allora cinema-teatro Sociale, dove a Mantova il film venne proiettato, la vita non sarebbe più sembrata la stessa.

Il pubblico lo amò fin dal primo momento e fu chiaro a tutti che Forrest Gump di Robert Zemeckis sarebbe stato molto di più che un bel film vittorioso l’anno successivo alla notte degli Oscar, con sei statuette iridate tra cui Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista, Miglior sceneggiatura non originale e Migliori effetti speciali, e che lasciò al contendente Pulp Fiction solo la miglior sceneggiatura originale, categoria nella quale Forrest Gump non poteva partecipare.

Era un grande racconto capace di scaldare i cuori e trasmettere grandi emozioni, una lezione di storia e di vita interpretata da un Tom Hanks diventato leggenda.

Non era solo una commedia o un dramma, ma una narrazione profonda che mescolava sapientemente riso e lacrime, favola e realtà. C’è chi ha definito il film “una poesia per immagini”. Come nella sequenza iniziale con l’iconica scena della piuma che vola leggera, sulle note dell’ormai celeberrima musica di Alan Silvestri, per poi arrivare ai piedi di Forrest che la raccoglie e la mette con estrema cura all’interno di un libro per bambini, “Curious George”, il suo libro preferito.

Da lì inizia il racconto di trent’anni della sua vita e della storia americana, guidato da quella battuta che è l’essenza stessa del protagonista e dell’intero film: “mamma diceva sempre la vita è come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita”. La piuma e la scatola di cioccolatini diventano i simboli chiave della storia: il destino e le scelte. Un destino fatto di eventi incontrollabili che possono cambiare la vita di ognuno, ma che allo stesso tempo può essere modellato dalle nostre azioni. Forrest impara a prendere in mano il destino e portarlo dalla sua parte, riuscendo sempre a trovare il buono in tutto ciò che gli capita. Con una premessa, fondamentale: “Mamma diceva sempre: devi gettare il passato dietro di te, prima di andare avanti”.

Ed ecco che il film diventa un continuo insegnamento con citazioni memorabili passate alla storia del cinema. Qualcuno, anche per questo lo ha definito un film moralista che condanna Jenny al girone dei dannati perché esce dagli schemi del sogno americano incarnato da Forrest e salva il tenente Dan solo quando questi rientra in quegli schemi “facendo la pace con Dio” e ritrovando quella serenità interiore fondamentale per arrivare al successo.

In verità Forrest Gump non è un film moralista perché, proprio a causa dell’imprevedibilità del destino, il sogno americano diventa una grande bugia e il protagonista riesce invece ad uscire vittorioso nelle sue tante e incredibili avventure in cui bontà e ingenuità vincono sulla fredda logica e sull’intelligenza calcolatrice. Lui agisce e basta, con purezza d’animo e semplicità d’azioni, riuscendo laddove non riesce invece chi avrebbe molte più qualità e meriti. Così, nonostante i deficit cognitivi e fisici con cui nasce, Forrest diventa un campione di football e di ping pong, un eroe di guerra, un milionario e una star quando corre per tre anni semplicemente perché: “avevo voglia di correre”. E facendo questo incontra e interagisce con i personaggi e le situazioni più emblematiche della storia americana dagli anni ’50 agli ‘80. Probabilmente il film, ben lungi dall’essere moralista e conservatore, è un manifesto satirico che ci dice di come l’american dream sia un qualcosa ormai di svilito proprio perché gli Stati Uniti ne hanno tradito i valori, trasformandosi in un Paese dove essere particolarmente intelligenti e dotati non serve, anzi può risultare scomodo.

Poi c’è la straordinaria sceneggiatura di Eric Roth e la magia del cinema con le incredibili capacità di Zemeckis dietro alla macchina da presa che ci trascinano dentro e fuori dal tempo.

Fatto sta che in quell’ottobre del 1994 le code davanti al botteghino del Sociale diventavano sempre più lunghe col passare delle sere, tutti in fila per vedere quel film che è un inno alla semplicità, alla leggerezza e alle cose più vere della vita e che proprio nel finale ci dà la chiave di tutta l’incredibile storia che racconta. Lo fa Forrest quando si chiede se esista un destino o se siamo solo trasportati in giro a caso come da una brezza, finendo per concludere che forse le due cose capitano assieme. L'importante, in tutti i casi, è continuare a correre...

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