Aviaria, studio italiano su 3 casi umani: “Non sono frutto di salto di specie”

Tre casi umani di influenza aviaria H5N1, “una bimba deceduta in Cambogia” – anche il papà era stato contagiato, ma asintomatico – “una donna nella provincia dello Jiangsu (Cina), e il caso in Ecuador, hanno evidenziato la possibilità che si potesse essere verificato un nuovo evento di ‘spillover’ (o salto di specie), tuttavia i dati analizzati suggeriscono che quelli riportati sono casi umani autolimitanti, senza salti patogeni tra le specie”. Al momento per l’influenza H5N1 “manca ancora la firma genetica di un evento di spillover”. Lo sottolinea uno studio italiano in fase di pubblicazione su ‘Pathogen and Global Health’, condotto da Fabio Scarpa, Università di Sassari; Daria Sanna, Instituto Rene Rachou Fundação Oswaldo Cruz (Belo Horizonte, Brasile); Marta Giovannetti, ricercatrice del Campus Bio-Medico di Roma; Stefano Pescarella, dipartimento Scienze biochimiche Università Sapienza di Roma; Marco Casu, dipartimento Medicina veterinaria Università di Sassari; Massimo Ciccozzi, responsabile Unità di Statistica medica ed epidemiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia del Campus Bio-Medico di Roma.

“Il salto di specie – si spiega nel lavoro – può verificarsi quando una popolazione patogena ad alta prevalenza (serbatoio) entra in contatto con soggetti appartenenti a specie diverse e il patogeno si diffonde in una nuova popolazione. La firma genetica di un evento di spillover è chiaramente diversa da quella mostrata nei casi segnalati”, evidenziano i ricercatori.

“I cambiamenti nei virus influenzali – spiegano gli autori – sono veicolati dalla cosiddetta deriva antigenica, che consiste in piccole mutazioni nei geni Ha (emoagglutinina) e Na (neuraminidasi), che provocano cambiamenti in queste due proteine ​​di superficie del virus. Questi cambiamenti sono continui nel tempo man mano che i virus influenzali si replicano, generando ceppi diversi, ma strettamente correlati tra loro”. Quando c’è il salto di specie “il cambiamento è brusco e dovuto ad uno spostamento antigenico, ovvero a cambiamenti causati da eventi di ricombinazione che generano nuove proteine ​​Ha e Na che acquisiscono la capacità di infettare l’uomo. Questo cambiamento può portare a un nuovo sottotipo che infetta le persone per la prima volta. Un evento che si è verificato nella primavera del 2009 quando il virus H1N1, con geni provenienti da virus originati da suini nordamericani, suini eurasiatici, esseri umani e uccelli, emerse per infettare le persone e diffondersi rapidamente, causando una pandemia”.

Al momento, H5N1 “non mostra nessuna di queste caratteristiche e manca ancora la firma genetica di uno spillover”, assicurano i ricercatori. “Naturalmente non significa che non possa mai verificarsi”, precisano. “Sebbene il virus H5N1 possa causare malattie gravi negli esseri umani”, secondo lo studio “fino ad ora non è stata identificata una diffusione da uomo a uomo sconosciuta. D’altra parte va sottolineato che in 100 casi di spillover il numero totale di contagi umani sarebbe stato molto più alto”.

Per gli scienziati, tuttavia, “non si deve abbassare la guardia e servono una costante indagine genomica e una sorveglianza sanitaria continua: le sole strategie – concludono – per identificare in tempo la firma genetica di un salto di specie”.

“Abbiamo studiato tre casi umani di influenza aviaria – dice all’Adnkronos Salute Massimo Ciccozzi – Nel caso della bambina cambogiana deceduta, abbiamo analizzato l’Rna della piccola e del padre positivo asintomatico. Ebbene, abbiamo osservato che i due Rna sono identici tranne una sola mutazione che non ha però significato perché non è su delle parti di Rna che sono determinanti. Quindi l’origine del virus è da fonte comune e non è accaduto il passaggio del virus tra padre e figlia o viceversa. Su questo c’è una assoluta certezza: nessuno l’ha passato all’altro. Quindi di trasmissione interumana dell’influenza aviaria ancora non si può parlare e ad oggi è estremamente improbabile, magari tra 20 anni accadrà”.

(Adnkronos)