L’imprenditore coraggio che sfidò la mafia: “Oggi Libero Grassi sarebbe vivo”

“Certo che ho paura, quella sensazione di rischio e di paura c’è sempre. Non la perderò mai, è una sorta di ‘pegno’ che ci siamo presi, io e la mia famiglia. Mia figlia grande esce da sola, la piccolina che va in macchina con mia moglie. Chiunque può avere un gesto di vendetta nei miei confronti. Anche tra dieci anni. Ma io non mi pento di avere denunciato. E l’ho voluto fare in maniera prepotente. Ho voluto far mangiare una foglia ai mafiosetti per dare un segnale a chi ancora paga il pizzo. Sono caparbio e mi intestardisco. La mia non è incoscienza. Meglio morto che sottomesso alla mafia. E lo penso davvero”. Giuseppe Piraino, 47 anni, è un imprenditore di Palermo salito agli onori della cronaca per avere affrontato, faccia a faccia, il suo estorsore e averlo persino filmato. Un video poi diventato virale sui social. Subito dopo ha portato quella registrazione sul telefonino ai carabinieri che in seguito alle indagini hanno arrestato non solo l’aguzzino di Piraino ma anche i suoi complici della estorsione. Prima si erano presentati in due “che mettevano paura solo a guardarli” e avevano chiesto la ‘messa a posto’ e poi invitarono l’imprenditore a preparare i soldi. E per riscuotere si era presentato una persona anziana “che poteva essere mio nonno”. Che chiedeva 500 euro. Piraino per tutta risposta gli disse: “Questo si chiama pizzo” e gli mostrò la foto dei giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, dicendo all’uomo “che si doveva vergognare”. Pochi istanti dopo si presentò dai Carabinieri. 

Oggi è il trentesimo anniversario dell’omicidio di Libero Grassi, un imprenditore che si ribellò al racket del pizzo. E che venne ucciso. Era il 29 agosto del 1991. A Palermo. “Oggi Libero Grassi sarebbe ancora vivo – dice Piraino – invece trenta anni fa fu abbandonato da tutti. E lui portò avanti, totalmente solo, la sua battaglia contro il racket del pizzo. Fu lasciato solo da tutti. Ai tempi nessuno si schierò con lui, solo qualche comunicato stampa. E nulla di più. E stava dando vita a un caso storico, il ribelle alla mafia…”. 

Ma cosa è cambiato in questi trenta anni? “La coscienza delle persone – dice Piraino in una intervista all’Adnkronos – E’ cambiato il coraggio, è cambiato lo Stato, i politici. Anche se c’è ancora tanto da cambiare, forse questo è l’inizio di una nuova era e molto lavoro è stato fatto”. 

“Oggi mi sento di fare un complimento alle forze dell’ordine che mi hanno sempre tutelato – continua Piraino – vedo i giovani molto sensibili. Mi ritrovo a essere più noto tra i più giovani, i ventenni, che non tra i miei coetanei che hanno vissuto quel periodo. Il problema più grosso è combattere oggi con gente che ancora ha paura e paga il pizzo”.  

Per Piraino “la mafia ha cambiato volto”, “c’è quella di alto rango che sta con i colletti bianchi, e quella di basso rango. A cui ‘conviene’ chiedere molto meno per evitare di sporcarsi le mani. Prima sparavano e minacciavano e questo non ripagato. Poi hanno preso una decisione più saggia, chi vuole pagare paga e chi non paga non rischia più di tanto. Ma la gente ha paura lo stesso”. Perché i commercianti continuano a pagare, come dicono le indagini anche recenti? “Molti sono in una situazione ambigua – dice – è come se volessero rimanere in un limbo. Preferiscono pagare 100 euro al mese, ma una posizione limpida non la prendono. Non vogliono dispiacere ma perché non vogliono crearsi dei nemici. Però una cosa è certa, più le istituzioni sono forti e presenti e più questo problema deve essere superato. Più lo Stato è presente e più i mafiosi hanno timore di uscire”. E ricorda: “Le ultime operazioni antimafia sono state eclatanti a Palermo”. 

Giuseppe Piraino, dopo la denuncia del suo estorsore, non solo continua a lavorare nell’edilizia ma il lavoro è aumentato. “Dopo che la mia denuncia era diventata nota -racconta – ho avuto decine di chiamate, di gente che doveva fare dei lavori e che mi dicevano: ‘Noi desideriamo una persona pulita, e abbiamo pensato a te’. Molte imprese edili, o per debolezza o perché sono abituati a pagare, fanno buon viso a cattivo gioco”.  

Poi tiene a precisare: “Io non ho voluto chiedere nulla a nessuno, neppure alle associazioni. Perché chi è stato davvero danneggiato, con minacce alla persona con pistole o con incendi delle proprie attività, sono loro. E mi è dispiaciuto che alcuni che come me hanno denunciato poi o sono scesi in politica o hanno avuto degli incarichi pubblici. Hanno cavalcato l’onda per finiti personali. Io, invece, volevo solo essere preso in considerazione. Affinché potessi continuare a lavorare. E sono stato ripagato”.  

(Adnkronos)