Il movimento passivo migliora la salute degli allettati: i risultati della ricerca al “Mazzali”

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MANTOVA – Che il movimento contribuisse a recuperare o mantenere una condizione di migliore salute lo si è sempre saputo, ma che cosa succede quando il movimento non è attivo, cioè quando gli arti vengono mobilizzati senza contrazione volontaria dei muscoli?

A questa domanda ha dato risposta una recente ricerca, pubblicata su “The Journal of Gerontology: Medical Sciences”, condotta dal Dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona, in collaborazione con la fondazione “Mons. Arrigo Mazzali” di Mantova.

Ad oggi, la mobilizzazione passiva ripetuta su soggetti di età avanzata allettati, era stata solo teorizzata; per la prima volta questo studio, ha messo a fuoco gli effetti della mobilizzazione passiva sulla disfunzione vascolare di soggetti anziani costretti a letto da lungo tempo.

L’allettamento prolungato e la conseguente diminuzione di movimento in soggetti anziani compromette non solamente il declino funzionale di questi individui ma contribuisce in maniera significativa alla progressione della disfunzionalità vascolare.

Alla ricerca hanno preso parte 45 persone, senza malattie neurodegenerative o problemi di insufficienza cardiaca, epatica o renale, età media 87 anni, da tempo costrette a letto. Sono state suddivise in due gruppi: uno di trattamento e uno controllo (si tratta, infatti, di uno studio clinico randomizzato controllato).

Entrambi i gruppi hanno continuato a ricevere la loro terapia farmacologica standard e a seguire il normale programma di attività ricreativa organizzata dal personale dell’istituto Mazzali. A differenza del gruppo di controllo che ha continuato questa routine, il gruppo di trattamento ha ricevuto la mobilizzazione passiva due volte al giorno per trenta minuti, cinque volte la settimana, per quattro settimane. Chinesiologi esperti hanno eseguito la mobilizzazione mediante flessione ed estensione passiva del ginocchio. Attraverso la mobilizzazione passiva, si induce un aumento transitorio nel flusso di sangue verso l’arto mobilizzato, ed è proprio questo meccanismo che gioca un ruolo importantissimo nell’ambito della funzionalità vascolare. Infatti, l’aumento transitorio e ripetuto del flusso sanguigno è proprio lo stimolo chiave che agisce sul lume del vaso arterioso e che stimola la produzione e utilizzo di alcuni elementi tra i quali l’ossido nitrico, favorendo nel tempo adattamenti positivi e un miglioramento della funzionalità endoteliale.

Dopo quattro settimane, le evidenze del trattamento erano già manifeste: variazione significativa del picco di flusso sanguigno dell’arteria femorale della gamba soggetta a mobilizzazione, miglioramento della reattività vascolare, della biodisponibilità di ossido nitrico, della circolazione, ed effetti positivi a livello sistemico generale.

“In altri studi da noi condotti -spiega il Prof. Massimo Venturelli dell’Università di Verona– abbiamo riscontrato che il deficit di funzionalità endoteliale è associato alla deplezione di ossido nitrico. Tra le cause della scarsa disponibilità di questa molecola, l’insufficiente mobilità fisica. Come semplice, ma efficace terapia non farmacologica, in contesti clinici e non clinici, la mobilizzazione passiva, aumentando la biodisponibilità di ossido nitrico, promuove e migliora la salute vascolare in persone che non possono muoversi autonomamente”.

È importante sottolineare che questa modalità di intervento, nella sua semplicità e sicurezza, potrebbe essere ampiamente proposta a tutti quei soggetti che non possono affrontare terapie e attività che includono movimento attivo, garantendo comunque a queste persone dei benefici sensibili sugli aspetti vascolari.

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