Il presidente di Haiti Juvenel Moise, assassinato la notte scorsa all’interno della sua residenza da un commando di uomini armati, aveva 53 anni. Alle spalle aveva un passato da imprenditore agricolo di successo, come esportatore di banane, ed era praticamente sconosciuto al grande pubblico quando era apparso sulla scena politica. Il suo sogno era di dare alla sua nazione un profilo di potenza agricola, sviluppando l’entroterra.
Moise aveva prestato giuramento come presidente il 7 febbraio 2017: il suo unico mandato da capo dello stato lo ha trascorso sostanzialmente in isolamento, con un parlamento sospeso e governando attraverso decreti. Padre di due figli, è stato incapace di fermare la spirale negativa in cui si avvitava il paese, il più povero del continente americano, segnato da diffuse violenze.
Una volta eletto, si era impegnato a risanare il paese minato dalla corruzione. Ma presto alcuni dei suoi collaboratori si erano ritrovati sospettati di aver stornato fondi pubblici. Anno dopo anno si erano susseguite le inchieste parlamentari, le inchieste di Ong o della Corte dei conti che avevano confermato come le istituzioni di Haiti continuassero ad essere preda della corruzione.
Proveniva da una famiglia modesta, padre meccanico e madre sarta e commerciante. Era nato nel Dipartimento del Nord-Est, aveva studiato scienze dell’educazione all’università Quisqueya di Haiti. La sua famiglia si era installata a Port-au-Prince nel 1974. Nel 1996 Moise aveva sposato la sua compagna di classe Martine.
Da qualche mese era impegnato in un braccio di ferro con l’opposizione perché contestava la richiesta di lasciare il suo incarico il 7 febbraio 2021. Moise riteneva di aver diritto ad un altro anno di mandato mentre i suoi oppositori consideravano concluso il periodo della sua presidenza, forti di una norma della costituzione che fa partire il conto alla rovesca dal giorno dell’elezione e non dall’insediamento. Il suo giuramento era stato rinviato perché le elezioni, celebrate nel 2015, si erano concluse tra sospetti di brogli con un ballottaggio posticipato due volte per “problemi di sicurezza”.
Durante gli anni della sua presidenza non erano state convocate e celebrate come previsto le elezioni a livello locale e nazionale, mentre un referendum costituzionale in programma per il mese scorso era stato rinviato e programmato per settembre, assieme alle presidenziali e legislative.
All’inizio di quest’anno, di fronte a nuove proteste e – stando alle sue dichiarazioni – nel timore di un tentativo di colpo di stato voluto per ucciderlo, si era mosso per proteggere la propria posizione, ordinando l’arresto di 23 persone tra cui un giudice della corte suprema e un alto funzionario di polizia. I suoi oppositori avevano accusato il suo governo di alimentare la violenza politica fornendo alle bande armi e denaro per intimidire i suoi avversari.