“Un dolore silenzioso e invisibile che non dà tregua”: così chi è affetto da fibromialgia descrive la sua sofferenza quotidiana. Ad oggi per questi pazienti reumatici cronici non esiste una cura risolutiva: così, nel tentativo di alleviare il dolore, a volte rischiano di imbattersi in rimedi “miracolosi” pubblicizzati sui social ma privi di valore scientifico.
“Il dolore di queste persone non è compreso – conferma Antonella Celano, presidente dell’Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche Rare (APMARR) – né dai medici di medicina generale né dalla famiglie. Così c’è chi cerca aiuto e risposte online, affidandosi a fantomatici guaritori, a sedicenti specialisti che propongo trattamenti costosi ma mai risolutivi. E la pandemia ha aggravato il senso di frustrazione dei pazienti. Non vedere il proprio medico, non parlare del malessere che accompagna i giorni e le notti, non riuscire ad interfacciarsi con chi conosce il problema e ne comprende le dinamiche psicologiche, ha fatto sentire molti di loro dentro una gabbia invisibile”.
In un momento di emergenza come questo, le persone con patologie croniche sono più vulnerabili, sia per le difficoltà nell’assistenza domiciliare che per l’accesso alle terapie. Per tutti loro le associazioni sono fondamentali, per molti rappresentano l’unico punto di riferimento. “Le principali richieste dei malati fibromialgici – spiega Celano – riguardano informazioni su specialisti e centri del Servizio sanitario nazionale, che siano raggiungibili anche in questo particolare momento storico, senza dover esser costretti a rivolgersi a studi o specialisti privati. Chiedono consigli e suggerimenti sulla gestione dei sintomi più gravi e rassicurazioni nel caso di comparsa di sintomi nuovi o un peggioramento di quelli già presenti”. Domande come “guarirò?”, oppure “c’è una cura?”, o ancora “perché la malattia non è riconosciuta?” o “perché non posso avere l’invalidità?”, sono sempre più frequenti. Ma questi pazienti “lamentano soprattutto di non esser compresi dal proprio medico di base – ancora Celano – e di sentirsi trattati come “pazzi”. Il dolore cronico c’è ma non si vede, tuttavia impatta sulla perdita del lavoro, sui rapporti interpersonali e sulla sfera familiare”.
“I pazienti fibromialgici ci contattano – riferisce Silvia Tonolo, presidente dell’Associazione Nazionale Malati Reumatici (Anmar) – perché si sentono soli e abbandonati da molto tempo. All’inizio della pandemia, hanno assistito alla chiusura di ambulatori e ospedali, allo slittamento di visite e piani terapeutici. Inoltre, i farmaci per i malati reumatici non ci sono perché vengono usati per i pazienti Covid. Si sentono incompresi e il mancato rapporto medico-paziente, fondamentale anche dal punto di vista psicologico, ha aumentato in loro il senso di frustrazione”.
La vaccinazione, dopo la paura del Covid, è solo l’ennesima preoccupazione. “Moltissimi pazienti – ricorda Tonolo – chiamano ogni giorno il nostro numero verde 800 608 519 per avere risposte: ci chiedono se, come e quando saranno contatti, se devono andare dal medico di medicina generale e/o sospendere le terapie prima di sottoporsi alla vaccinazione, se potranno tornare a lavorare una volta eseguita la vaccinazione, se il rischio di reazioni avverse sia peggiore di quello di contrarre il virus. La confusione creatasi per la differenze tra le Regioni sulle priorità vaccinali, regna sovrana. Per non parlare delle troppe informazioni, spesso contraddittorie, che ci arrivano da giornali e tv. Per questo motivo, insieme al coordinamento delle associazioni di pazienti con patologie reumatologiche, immunologiche e rare abbiamo più volte sollecitato il ministro della Salute, il commissario straordinario all’emergenza Covid-19 e il presidente della Conferenza Stato-Regioni. Alle istituzioni chiediamo di considerare questi pazienti vulnerabili, fragili, costretti ad assumere farmaci importanti (immusoppressori e biologici) e pertanto bisognosi di priorità. La Sindrome fibromialgica non ha un codice di esenzione nazionale all’interno dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), quindi spetta allo specialista decidere quali pazienti che ritiene vulnerabili debbano essere vaccinati per primi”.
“Già prima della pandemia, le persone con fibromialgia – sottolinea Celano – vivevano nel loro lockdown, a causa della patologia. Dover rimandare una visita medica, è motivo di stress e lo stress è un fattore scatenante della malattia. Chi ci contatta è come se cercasse un braccio teso a cui aggrapparsi. Il mezzo digitale viene in soccorso ma non sempre riesce a stemperare la desolazione”.
I pazienti fibromialgici riescono a gestire la malattia da soli? “Assolutamente no – scandisce Tonolo – perché hanno bisogno sempre del rapporto con il medico, fondamentale anche in termini di aderenza terapeutica. A volte basta anche una sola parola perché il paziente si senta preso in carico. Anche la gestione del dolore non è facile, i farmaci utilizzati devono essere presi in condivisione con lo specialista, l’autogestione comporta un danno al paziente”. Per le persone con fibromialgia anche la continuità terapeutica “è un percorso ostacoli” secondo le associazioni dei pazienti.
“La continuità terapeutica e assistenziale non solo non è garantita – non ha dubbi la presidente di Apmarr, Antonella Celano – ma, visto che la Fibromialgia non è riconosciuta e dunque non è presente nei Lea, in Italia vi sono enormi differenze fra le regioni. In alcune la sindrome è riconosciuta, in altre no, pertanto la presa in carico non solo è differente da regione a regione, ma nella maggior parte di esse è completamente inesistente”. “Abbiamo cercato di garantire continuità terapeutica ovunque – afferma la presidente di Anmar, Silvia Tonolo – grazie alla condivisione con l’Aifa dei nostri bisogni e delle difficoltà a reperire i piani terapeutici, a causa della chiusure di molte strutture. La continuità assistenziale è a macchia di leopardo, in certe regioni alcuni ambulatori sono chiusi da marzo 2020, a discapito anche della patologia stessa, con riacutizzazioni importanti e comorbidità insorte. Questo ha comportato uno slittamento delle liste di attesa che oramai sono fuori controllo”.
La fibromialgia è una malattia “invisibile”, non è rilevabile con gli esami di laboratorio né con quelli radiologici, chi ne soffre è apparentemente sano e non viene “preso sul serio” dai familiari, amici, colleghi di lavoro e a volte persino dal medico. “Vivere da invisibile è umiliante – ammette Celano – dover dimostrare continuamente di soffrire, o che i propri dolori sono reali è davvero frustrante. Anche il rapporto con il medico il più delle volte si rivela deludente, soprattutto quando ci si sente dire “non ha niente” o che “la fibromialgia non esiste”. Sono parole e frasi che portano sconforto, che destabilizzano, che equivalgono a sentirsi dire “tu non esisti”. Ci si sente senza identità, abbandonati e senza la prospettiva di poter stare meglio. Vivere con una patologia come la Fibromialgia non solo ti rende invisibile al mondo intero, ma addirittura ti pietrifica, fino ad annullarti. Gli specialisti, i MMG, gli psicologi, nessuno ti prende sul serio e vieni etichettato come depresso o ipocondriaco, non puoi lamentarti con la tua famiglia, sei fragile, costretto a tenere tutto dentro con la paura di subire giudizi. Ecco perché diventi trasparente”. “Oltre ad avere una pessima qualità di vita – conclude Tonolo – i pazienti fibromialgici spesso vengono anche considerati malati immaginari e questo li debilita oltre che fisicamente anche psicologicamente”.