L’esperta: ’15-20% italiani non riesce ad avere figli’

“L’infertilità di coppia è un fenomeno sociale in crescita: il 15-20% della popolazione in età fertile ha questo problema. E’ un dato preoccupante su cui dobbiamo riflettere, visto che il tasso di natalità nel nostro Paese è il basso d’Europa, con 1,27 bambini per ciascuna donna. I motivi? Diversi. Innanzitutto, le coppie cercano un figlio sempre più tardi e gli uomini in particolare non hanno una cultura della prevenzione: trascurano i problemi e, quando la coppia sviluppa il desiderio di allargare la famiglia, spesso è troppo tardi”. A lanciare l’allarme, in occasione del 14° Congresso nazionale della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità (Siams), presieduta da Andrea Isidori, è Linda Vignozzi, professore associato di Endocrinologia presso il Dipartimento di Scienze biomediche sperimentali e cliniche ‘Mario Serio’, Aouc Careggi, appena nominata presidente eletto della società scientifica.  

“Sappiamo che la coppia – sottolinea Vignozzi – decide di avere un figlio sempre più tardi per motivi sociali ed economici. Ma rimandare gli accertamenti, attraverso i quali è possibile scoprire le patologie alla base dell’infertilità, è un problema rilevante. La coppia, infatti, pur di avere un figlio è costretta a sottoporsi a tecniche sempre più invasive e costose che non tutti possono permettersi. Sono percorsi impegnativi non solo da un punto di vista economico, ma anche emotivo e psicologico. Per questo motivo la Società italiana di andrologia e medicina della sessualità da tempo promuove iniziative per sensibilizzare la popolazione verso una precoce diagnosi di patologie che possono nel futuro portare a un problema di infertilità”.  

Tra le patologie che possono portare all’infertilità, secondo Vignozzi le più frequenti sono le malattie metaboliche. “Sovrappeso, obesità, riduzione dell’attività fisica, una dieta ricca in zuccheri semplici e povera in fibre, frutta e verdura, ipertensione e colesterolo – avverte l’esperta – sono tutte condizioni presenti nella popolazione maschile molto giovane. E le malattie metaboliche sono anche responsabili di importanti alterazioni ormonali, del liquido seminale o infiammatorie a livello dei genitali, di conseguenza riducono il potenziale di fertilità. Fortunatamente queste patologie sono reversibili e curabili, quindi intervenire in maniera precoce è assolutamente importante”.  

Ma la prima battaglia da portare avanti è di tipo culturale: innanzitutto perché la difficoltà di concepire è molto più diffusa di quanto si pensi, ma spesso chi ne soffre è restio a parlarne anche con i più stretti familiari o amici. Inoltre, gli “uomini non hanno una cultura della prevenzione – insiste Vignozzi – Arrivano dall’andrologo sempre più tardi, spesso troppo tardi. Mentre per una ragazza che appena inizia lo sviluppo puberale è normale rivolgersi al ginecologo per i primi accertamenti, ed effettua negli anni check-up periodici, per il maschio non è così, nonostante la visita andrologica fornisca informazioni molto rilevanti sulla salute riproduttiva”.  

“L’andrologo riesce ad evidenziare spesso delle patologie del tratto genitale anche molto serie, come il tumore testicolare che colpisce la popolazione giovanile. Quindi è assolutamente necessario sensibilizzare la popolazione – ribadisce l’esperta – sull’importanza della visita andrologica nei maschi fin dall’età dello sviluppo puberale, talvolta anche prima, per poter evidenziare da subito eventuali alterazioni che possono essere reversibili o necessitare delle terapie mirate, come per i disturbi ormonali che a volte si associano a dei ritardi dello sviluppo puberale o a disfunzioni sessuali che subentrano in età più matura”.  

Anche Covid-19, che ha profondamente segnato la nostra vita in questi mesi, ha probabilmente avuto importanti ripercussioni sulla fertilità di coppia, è emerso dal Congresso Siams in corso a Bologna. “Non solo la pandemia ha avuto un forte impatto sulla vita di coppia dal punto di vista psicopatologico (abbiamo casi di insorgenza di stati di ansia e depressione) – riporta Vignozzi – ma sicuramente non ha portato ad un miglioramento degli outcome della fertilità, contrariamente a quanto si possa pensare. Basti pensare che a causa del lockdown si sono drasticamente ridotti gli accessi per gli approfondimenti diagnostici. Inoltre, seppure la coppia abbia avuto durante questi 20 mesi maggior tempo per potersi dedicare a delle progettualità importanti, come quella di fare un figlio, in realtà non è stato così. E questo fa ben capire che la fertilità è un problema molto complesso, che debba tener in considerazione anche i fattori psico-sessuologici legati al problema riproduttivo”. 

(Adnkronos)