MANTOVA – Il 17 febbraio 1992 a Milano viene arrestato Mario Chiesa, presidente socialista del Pio Albergo Trivulzio (casa di riposo tornata drammaticamente all’onore delle cronache negli ultimi tempi come una delle strutture per anziani con più morti per Covid), mentre intasca una tangente di 7 milioni di lire dall’imprenditore Luca Magni che voleva aggiudicarsi l’appalto per le pulizie dell’ospizio. Sembra un insignificante episodio locale con protagonista un mariuolo, come minimizzerà Craxi, e invece è l’incipit di una vicenda denominata “Tangentopoli” o “Mani pulite”, che dir si voglia, che cambierà profondamente l’Italia.
Dopo trent’anni credo sia giunto il momento di riflettere, senza l’ansia della cronaca, sugli esiti di quella stagione. Confesso di non essere neutrale rispetto a quegli accadimenti, infatti se è vero che nel 1992 avevo 23 anni, non facevo politica attivamente e votavo molto a sinistra è altrettanto noto che oggi sono un dirigente del PSI, il partito più duramente colpito da quell’inchiesta; credo però di avere sufficiente onestà intellettuale per partecipare a un dibattito che considero di straordinaria contemporaneità. Vista questa premessa mi sia consentito sottolineare come nell’immaginario collettivo il PSI degli anni ottanta sia quello della “Milano da bere”, popolato da disonesti arrivisti che si scannavano per una poltrona, è certo vi fossero anche quelli, sarebbe sciocco negarlo, ma, in realtà era un Partito in cui i militanti incarnavano i valori socialisti della libertà, della democrazia, della giustizia come una seconda pelle, dove si discuteva moltissimo, dove c’era un confronto continuo di idee, dove c’erano competenze per affrontare nel merito le questioni più complesse con innegabile vitalità; e con malcelato orgoglio, ancora una volta ribadisco che la Federazione di Mantova, da vera “Repubblica Socialista”, nonostante qualche maldestro tentativo di coinvolgimento, non sia stata mai nemmeno sfiorata dalle inchieste penali.
Dopo l’arresto di Chiesa gli avvisi di garanzia si susseguono come se piovesse, tintinnano le manette, il carcere preventivo è metodo consolidato per estorcere confessioni: siamo al cospetto di una vera e propria rivoluzione giudiziaria con i magistrati di Milano che si costituiscono in pool e dettano la linea alle altre Procure. E a questo proposito apre il cuore ascoltare il dottor Gherardo Colombo sostenere, recentemente, come la galera sia una punizione che genera solo obbedienza che è la negazione della democrazia.
Il 15 dicembre 1992, poi, i PM colpiscono il bersaglio grosso, il “cinghialone” (copyright Vittorio Feltri) Bettino Craxi è indagato. Seguiranno i tempi bui delle monetine, dei suicidi, del furore giustizialista soprattutto a sinistra, della criminalizzazione dei partiti, del considerare chi viene assolto (molti) in un processo niente altro che un colpevole mai smascherato (che contrappasso dantesco il rinvio a giudizio deciso proprio in queste ore del dottor Piercamillo Davigo per rivelazione di segreto d’ufficio). Un sistema, trasversalmente corrotto è travolto con il favore (più o meno indotto) dell’opinione pubblica. I garantisti anche se lo sono per convinzione e da tempi non sospetti, sono crocifissi (in sala mensa aggiungerebbe il compianto Paolo Villaggio) e sottoposti a un linciaggio morale senza precedenti.
Inizia, così, una escalation populista che passando da Berlusconi raggiungerà l’apice nel 2018 con il governo di Grillo e Salvini. Ebbene se questo percorso, anche elettorale, ne è il risultato diretto ritengo che gli eventi di “Tangentopoli” abbiano determinato almeno due altre conseguenze non meno importanti: innanzitutto la crisi infinita della politica che può anche apparire ai più superficiali come un incidente della modernità tutto sommato ininfluente per la vita dei cittadini. In realtà solo ritornando alla “Politica” si può dare un’anima a provvedimenti legislativi, altrimenti aridi e insensibili alle vere esigenze della gente. Oltretutto è inevitabile che, con partiti deboli, il potere si concentri nelle mani della finanza e della magistratura, quando non della criminalità. Non è certo anacronistico rivendicare anche oggi il ruolo dei partiti (certo da rinnovare) come argine a una deriva senza di essi pericolosissima, visti i disastri combinati da un ceto politico senza alcuna esperienza basato su improvvisazione e pressapochismo a scapito di formazione e competenza.
Ma a “Tangentopoli” si deve, ancora di più, purtroppo, l’uccisione nella culla del tentativo di costruire una grande forza laico-riformista, in grado di unire culture differenti, fondata sulla dottrina del socialismo liberale in grado di competere per la leadership del centrosinistra con ex comunisti ed ex democristiani; la cui necessità mi pare anche oggi evidente e alla cui realizzazione da tempo con molti compagni, non solo del PSI, mi sto dedicando con alacrità. Nonostante la storia, a mio avviso, abbia già dimostrato chi abbia avuto ragione (da Turati a Nenni a Craxi) ritengo che ragionare su “Tangentopoli” e sulle sue storture in modo ampio, senza pregiudizi, con sincerità sia indispensabile per l’affermazione di una sinistra riformista che scevra dal condizionamento dei supporter della decrescita (in)felice, dei manettari, di ogni moralismo sia in gradi di traguardare definitivamente il ‘900 e di offrire quella visione prospettica indispensabile per il futuro dell’Italia.
* Michele Chiodarelli è segretario provinciale del PSI