(Adnkronos) – La riforma del Consiglio superiore della magistratura era una “riforma necessaria”, “non potevamo farne assolutamente a meno”. “Sicuramente qualsiasi riforma non avrebbe soddisfatto pienamente le aspettative di tutti. Su certe cose c’è stato un punto di compromesso che, forse, andava mediato maggiormente con chi nella magistrature vive o chi ha vissuto certe storture in prima persona”. A parlare con l’Adnkronos è Monica Forte, Presidente della Commissione regionale Antimafia Lombardia, all’indomani dell’intervista rilasciata dal consigliere del Csm Nino Di Matteo che ha duramente criticato la riforma, parlando di una “pericolosa voglia di rivalsa sulla magistratura”.
“E’ vero che in alcuni blocchi di emendamenti che sono stati presentati era ravvisabile quello che il consigliere Di Matteo ha definito una sorta di ‘punizione’ o di ‘rivalsa’ nei confronti della magistratura. Questo era abbastanza evidente – dice Forte – Si è tentato di porre sicuramente una mediazione. Anche nella separazione delle carriere, noi siamo passati a rendere possibile per quattro volte il passaggio da una funzione all’latra, poi man mano che si è andati avanti con gli emendamenti, si è arrivati al minimo sindacale sostanzialmente. Qui forse si poteva fare uno sforzo. Si sta lasciando proprio il limite minimo, quello per cui una persona che decide dopo il tirocinio di essere magistrato inquirente o giudicante, ha uno ‘slot’ possibile, quando invece nell’arco di una lunga carriera del magistrato dovrebbero essere consentiti maggiori passaggi”.
E parlando ancora della riforma del Csm, Monica Forte spiega: “Credo che quando la politica interviene su temi di questo genere, un maggiore ascolto di chi lo vive dall’interno forse avrebbe dovuto farlo. So che la ministra Cartabia ha tentato in tutti i modi di mediare tra le varie parti politiche, ma io avrei dato maggiore ascolto anche nei confronti di coloro su cui la riforma stessa avrà una ricaduta”.
Poi, Monica Forte, parlando della lunghezza dei processi e del sovraffollamento carceraio, si dice convinta che “qualcosa bisognava fare”. “Perché io credo che si stesse rischiando che il sistema giudiziario non solo si bloccasse, ma che perdesse totalmente credibilità da parte dei cittadini”.
“Per quanto riguarda i quesiti referendari – dice – il tema è se sia corretto o meno che certi temi tecnici possano essere sottoposti o meno a un quesito referendario, specie quando il quesito è talmente difficile da comprendere, così complesso che il voto inevitabilmente si trasformerà in semplici indicazioni politiche da parte del proprio partito di riferimento pur non comprendendo il significato tecnico. Questo per me era un lavoro che non andava fatto”.
E ribadisce che “avevamo l’obbligo di intervenire perché ce lo chiede l’Europa e perché eravamo sanzionati continuamente”. “Per quanto riguarda la magistratura è evidente come gli ultimi scandali che hanno riguardato una parte della magistratura poneva, secondo me, una questione anche di credibilità, che è un tema che io accomuno a quello della politica”. “Io credo che la giustizia e, quindi, anche il ruolo del magistrato – aggiunge -deve essere affrontato con il giusto senso di equilibrio e con la giusta equidistanza, tra chi sbraita e ha un atteggiamento penalizzante nei confronti sempre e solo degli imputati, salvando a priori l’apparato della magistratura, e chi sbraita sempre contro i magistrati e a tutela esclusiva degli imputati. La giustizia sta nel mezzo, in una situazione equidistante”.