Nucleare, la minaccia russa e il controverso modello francese

(Adnkronos) – Quando si parla di nucleare, in genere, si fa una grande confusione. E la prima distinzione, sostanziale, va fatta fra la minaccia di impiego delle armi nucleari da parte della Russia nel conflitto contro l’Ucraina e la produzione di energia nucleare, come avviene in diversi Paesi, a partire dalla Francia. Per semplificare, le bombe atomiche, siano tattiche o strategiche, non hanno nulla a che vedere con le centrali nucleari. Gli esperti aggiungono che quando si parla di ordigni si parla dell’uranio 235 e quando si parla delle centrali dell’uranio 238. Due materie prime diverse. Quindi si può essere pro o contro il nucleare, come tecnologia per produrre energia, lasciando da parte la follia dell’impiego di armi nucleari.  

Usciti dall’equivoco di fondo, si può entrare nel dibattito che riguarda la possibilità o meno di un ritorno al nucleare. E il caso della Francia offre spunti di riflessione interessanti. Si è trasformata, più o meno da un anno a questa parte, da Paese in grado di esportare energia elettrica a basso costo a un Paese in grande difficoltà, perché deve importare elettricità da mezza Europa. Cosa è successo? L’energia nucleare che ha sempre prodotto non è più disponibile, perché sono spenti più della metà dei reattori, 32 su 56, a causa da una parte delle abituali operazioni di rifornimento di combustibile nucleare e dall’altra per la manutenzione, quella programmata e quella straordinaria, visto che i reattori sono sempre più vecchi.  

Quando si parla per l’Italia di un ritorno al nucleare si devono considerare, guardando al modello, controverso, della Francia, i tempi per la costruzione delle centrali, gli investimenti necessari per la costruzione e per la manutenzione, e anche la necessità di costruire un mix per la produzione di energia che eviti crisi come quella francese. Anche guardando solo al problema delle scorie, l’Italia sconta il ritardo accumulato. Oggi sono custodite in decine di depositi temporanei sparsi sul territorio e ogni volta che si parla di un deposito unico si innesca una guerra territoriale, senza tralasciare che Sogin, la società che dovrebbe costruirlo, è stata commissariata. In Francia, ci sono da decenni depositi unici nazionali in cui si raccolgono tutti o quasi i rifiuti provenienti dalle attività di produzione di energia.  

Tornare al nucleare vorrebbe dire sostanzialmente ripartire da zero. Perché quello che c’era, di fatto, non c’è più. Tra il 1964 e il 1990 in Italia sono state attive quattro centrali, oggi tutte in fase di smantellamento, dopo il referendum del 1987, arrivato l’anno dopo la tragedia di Chernobyl a sancire la fine della produzione di energia nucleare: Trino (Vercelli), Caorso (Piacenza), Latina e Garigliano (Caserta). Oggi l’Italia è l’unico tra i Paesi del G7 a non avere centrali nucleari attive mentre tra i membri del G20 le nazioni che non fanno ricorso all’energia nucleare sono al momento cinque, compresa l’Italia. 

Il dibattito su quanto sia sicura e pulita la produzione di energia nucleare resta aperto, con detrattori e promotori molto distanti nelle loro valutazioni. Quello che è certo è che mentre Putin, secondo il Times, pensa a un test nucleare al confine con l’Ucraina per mostrare fino in fondo la sua pericolosità, la Francia vive la crisi energetica innescata dal conflitto in Ucraina più o meno come gli altri Paesi europei, nonostante la sua produzione di energia nucleare. (di Fabio Insenga)  

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