(Adnkronos) –
Un anno fa la tragedia della Marmolada, nelle Dolomiti, costata la vita a 11 persone. Alle 13.43 circa 64.000 tonnellate di acqua, ghiaccio e detriti rocciosi si sono staccate improvvisamente dal ghiacciaio dando origine ad una valanga che ha travolto gli alpinisti in scalata.
“Il Veneto è stato il territorio che ha avuto il maggior numero di vittime, otto sono i veneti che hanno perso la vita: Filippo Bari, Tommaso Carollo, Paolo Dani, Nicolò Zavatta, Davide Miotti, Erika Campagnaro, Gianmarco Gallina e Manuela Piran. Una tragedia che ha colpito chi la montagna l’amava, la viveva e la affrontava pienamente. Una tragedia che ha lasciato il segno: un dolore indimenticabile nelle famiglie delle vittime e dei feriti, di chi si è speso per portare aiuto”, afferma il Presidente della Regione del Veneto, Luca Zaia. “I segni sul ghiacciaio della Regina delle Dolomiti – aggiunge – si possono ancora osservare, è una ferita aperta. Ricordo quel giorno, domenica 3 luglio. Il sole splendeva, sembrava un giorno perfetto per una scalata, almeno per le cordate di alpinisti che si erano avventurate sulle nostre Dolomiti. Era caldo, troppo caldo per quella zona dell’area dolomitica. Alle 13.43 è scoppiato il Big Bang: è l’ora in cui si è registrato il crollo della parte sommitale del ghiacciaio e il distacco di una massa enorme di ghiaccio e pietra che ha travolto i malcapitati. Se prima c’era il sole con la sua luce e la spensieratezza che li avvolgeva, immediatamente dopo è piombato il buio, il silenzio e la catastrofe”.
Un team di ricercatori internazionale coordinato da Aldino Bondesan dell’Università di Padova ha pubblicato lo studio The climate-driven disaster of the Marmolada Glacier (Italy) sulla rivista ‘Geomorphology’, ripresa anche negli highlighs di ‘Nature’, che costituisce il primo lavoro che indaga le possibili cause e i meccanismi del collasso.
La valanga di ghiaccio e detriti si è arrestata in un canalone dopo aver percorso circa 2,3 km lungo il pendio – ricostruisce l’ateneo in una nota – Il crollo è avvenuto nella parte alta del versante settentrionale della Marmolada alla quota di 3213 m e ha interessato un lembo sommitale del ghiacciaio, nei pressi di Punta Rocca. Questo piccolo ghiacciaio residuale era parte integrante dell’ampia fronte glaciale fino a circa un decennio fa, e oggi, a causa della frammentazione causata dall’arretramento, è rimasto isolato e racchiuso entro una nicchia sul versante esposto a settentrione appena al di sotto della cresta.
L’evento è stato documentato da diversi video registrati da escursionisti che si trovavano sul posto, che hanno aiutato nell’analisi delle cause del collasso. L’energia sismica rilasciata dall’evento è stata paragonabile a un terremoto di magnitudo pari a 0,6. “Un’analisi dettagliata delle immagini satellitari e aeree stereoscopiche, scattate prima e dopo l’evento, ci ha consentito di analizzare le modalità di collasso – spiega Bondesan – Il distacco è stato in gran parte causato da un cedimento lungo un crepaccio mediano, in parte occupato da un enorme volume di acqua di disgelo generato dalle temperature altamente anomale della tarda primavera e dell’inizio dell’estate. Al momento dell’evento erano stati raggiunti in quota i 10.7 C. La fitta rete di crepacci insieme alla morfologia e alle proprietà della superficie rocciosa basale hanno predisposto questo settore glaciale al collasso, la cui causa scatenante è da individuarsi nella pressione sovrastante causata dall’eccesso di acqua di fusione”.
“Sono stati individuati due meccanismi concomitanti che hanno provocato l’instabilità con conseguente crollo improvviso del ghiacciaio: l’acqua infiltrata all’interno di un crepaccio del ghiacciaio ha causato da sotto una pressione tale da sollevare lo strato di ghiaccio; quando l’acqua è penetrata all’interno dei sedimenti basali si è verificata una spinta al galleggiamento, essendo il ghiaccio meno denso dell’acqua”, conclude Bondesan.