“Soddisfatti o rimborsati”. Un concetto che, a quanto pare, si applica anche al commercio di droga online con gli spacciatori che, tra Telegram e altre app di messaggistica istantanea, promuovono la vendita di sostanze stupefacenti in modo ‘creativo’ e con promozioni ad hoc per i clienti fidelizzati. “Il commercio virtuale di stupefacenti è simile per certi versi a quello tradizionale. Si cerca di attrarre i potenziali acquirenti con sconti e offerte, o con ‘packages’ a prova di perquisizione. E se la droga viene confiscata si procede al rimborso”. Così all’Adnkronos Antonio Lombardi, Tenente Colonnello dei Carabinieri e direttore della Sezione Drug@online della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga. Nello specifico, la sezione di cui Lombardi è a capo si occupa del monitoraggio della rete, sia nell’open che nel darkweb, per l’individuazione di siti dediti al narcotraffico e per conoscere le nuove modalità di spaccio che sfruttano le innovazioni tecnologiche. Alla ribalta, nell’ultimo periodo, ci sono le applicazioni di messaggistica, come Telegram, Wickr, ma anche Instagram.
“Si tratta di un fenomeno in espansione negli ultimi 5-6 anni, che ha visto un incremento notevole durante il periodo del Covid”, prosegue Lombardi. “Del resto queste app sono molto appetibili per chi decide di creare la sua ‘piazza di spaccio virtuale’: in primis sono diffuse tra i giovani e permettono di raggiungere un vasto gruppo di possibili compratori. Sono anche di facile utilizzo, si entra in una chat con diverse offerte e si può acquistare la droga in tutta sicurezza, pagandola con i bitcoin, quindi in criptovalute, facendosi poi consegnare il pacco a casa o in un posto stabilito in precedenza. Tutto ciò viene concordato tramite l’app, ovviamente non in chiaro e non alla presenza di tutti. Nel momento in cui un soggetto decide di acquistare un prodotto la contrattazione viene trasferita su altri canali di comunicazione sempre all’interno dell’app: alcuni si spostano su comunicazioni crittografate, come Pgp, si scambiano la chiave criptata e possono parlare tra di loro, oppure usano altre app di messaggistica, come Wickr. Queste chat sono dotate dell’auto-eliminazione dei messaggi, a tempo determinato, quindi dopo un tot minuti le conversazioni spariscono, non si riesce nemmeno a fare lo screenshot”, spiega ancora Lombardi.
Le indagini e le operazioni di contrasto, quindi, si muovono su due fronti, quello tradizionale e quello virtuale. “Avendo tutti questi limiti le difficoltà incontrate sono tante, tuttavia, riusciamo comunque a svolgere molte attività di opposizione al fenomeno”, prosegue il Tenente. “Negli ultimi tempi stanno aumentando le operazioni su tutto il territorio, proprio perché il fenomeno si sta espandendo a macchia d’olio. Arriviamo spesso all’individuazione dei responsabili, perché, se è vero che stiamo parlando di mercati digitali, è altrettanto vero che si opera nel mondo reale, ed è lì che i nostri sforzi si concentrano, andando a monitorare tutta la rete dei sistemi di spedizione incrementando, a livello territoriale, i controlli attraverso gli hub territoriali, con corrieri nazionali ma anche internazionali”.
Tra le modalità d’azione, spiega ancora Lombardi, c’è quella di entrare in queste chat o gruppi su Telegram e sulle altre app per simulare gli acquisti, cercando di capire dove possono essere individuati i venditori. “Noi sulle app troviamo solo dei nickname che poi sono delocalizzati, perché una delle caratteristiche di queste applicazioni è la possibilità di non dare la posizione del soggetto; abbiamo un utente che può essere ovunque nel mondo, come avviene anche nel darkweb. Ovviamente, capita che sul territorio, a seguito di normali servizi di polizia, si riesca a comprendere che il soggetto arrestato ha messo su una piazza di spaccio proprio grazie all’uso di questi mezzi e da lì si inizia a risalire all’individuo, c’è sempre un connubio tra un’indagine tradizionale, come la perquisizione su strada o in casa, che poi, dall’analisi forense del materiale tecnologico, permette di risalire allo ‘spacciatore digitale’. Si parte insomma da indagini su soggetti fisici arrivando poi ad abbracciare tutto il reparto tecnologico, con l’analisi degli smartphone e dei computer. Virtuale sì, – conclude Lombardi – ma poi si opera nel reale, ed è proprio nel mondo reale che noi riusciamo a bloccarli”. (di Chiara Capuani)