Chi finanzia la guerra della Russia in Ucraina? Il peso delle banche cinesi

(Adnkronos) – Le sanzioni occidentali pesano sull’economia della Russia e, di conseguenza, sulle possibilità di Putin di finanziare la guerra in Ucraina. Lo dimostrano tutti gli indicatori disponibili e anche l’andamento del Rublo, ormai crollato su quotazioni insostenibili con la soglia psicologica di 100 rubli per un dollaro superata a metà agosto e il conseguente intervento d’urgenza della Banca centrale russa per limitare i danni. C’è però un fattore che ha contribuito a bilanciare finora l’effetto dell’isolamento commerciale e finanziario di Mosca. E’ la massa di denaro che è transitato attraverso le grandi banche cinesi.  

Il Financial Times, riferendosi all’analisi di dati ufficiali stilata dalla Kyiv School of Economics, rivela oggi che l’esposizione è quadruplicata nei 14 mesi terminati a marzo 2023. Nello specifico, la Industrial and commercial bank of China (Icbc), la Bank of China, la China construction Bank e la Agricultural bank of China hanno aumentato la loro esposizione verso la Russia da 2,2 miliardi di dollari a 9,7 miliardi di dollari. La Icbc e la Bank of Cina coprono complessivamente 8,8 miliardi di dollari di asset.  

Prima dell’invasione dell’Ucraina, oltre il 60% dei pagamenti per le esportazioni russe venivano fatti usando quelle che le autorità di Mosca ora definiscono “valute tossiche”, ossia il dollaro e l’euro, mentre lo yuan copriva meno dell’1%. Da allora, secondo i dati della banca centrale russa, la quota di euro e dollari è scesa a meno della metà dei pagamenti delle esportazioni, mentre il renminbi è salito al 16%. 

Questi dati dicono diverse cose. La prima è che seguendo il flusso del denaro è più facile capire dove sono andate a finire le esportazioni russe che poi, passando per la Cina, hanno raggiunto anche altre destinazioni. Andando più nel dettaglio, guardando a cosa ha venduto la Russia alla Cina, si comprende anche perché alcune delle sanzioni occidentali hanno avuto meno successo del previsto: petrolio, carbone e metalli, che Mosca non può più cedere alle aziende europee, hanno preso la strada di Pechino. Nei primi sette mesi del 2023, i flussi dell’interscambio si sono attestati a 134,1 miliardi (+36,5% annuo), frutto di esportazioni russe in rialzo del 15,1%, a 71,6 miliardi, e di quelle cinesi in aumento del 73,4%, a quota 62,5 miliardi.  

La seconda cosa importante che emerge analizzando i dati, però, è che qualcosa inizia a muoversi anche in senso contrario, insieme alle difficoltà crescenti per l’economia cinese. A luglio scorso, l’import cinese dalla Russia è calato dell’8,1% su base annua, a 9,2 miliardi di dollari. Un dato molto diverso rispetto alla crescita del 15,7% di giugno. Si tratta del primo calo mensile in circa due anni. Potrebbe essere il segnale che l’asse tra Pechino e Mosca inizia a scricchiolare e che anche il dato finanziario, quello che riporta all’esposizione delle banche potrebbe presto cambiare di segno. (Di Fabio Insenga) 

 

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