(Adnkronos) – Apre la strada a un possibile intervento terapeutico capace di contrastare le alterazioni cerebrali che, nel corso del tempo, possono portare alla demenza, la ricerca condotta dal Dipartimento di Angiocardioneurologia e Medicina traslazionale dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (IS) che, utilizzando le tecniche avanzate di risonanza magnetica, evidenzia anche la possibilità di diagnosticare precocemente i danni che l’ipertensione può causare al cervello di un paziente, molto prima della comparsa di segni clinici.
Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Hypertension – spiega una nota – è partito dalle osservazioni su alcuni pazienti ipertesi, nei quali il gruppo di ricercatori Neuromed ha usato tecniche avanzate di diagnostica per immagini come l’imaging a tensore di diffusione (Dti), indagini che hanno portato all’individuazione di alterazioni microscopiche alle strutture cerebrali. Questi risultati hanno rappresentato la base di partenza per una serie di ricerche su animali di laboratorio, individuando anche in questo caso danni cerebrali specifici, tra cui cambiamenti strutturali, microstrutturali ed emodinamici. Tra le scoperte più significative, lo studio ha evidenziato danni microstrutturali nella materia bianca (costituita dalle fibre che interconnettono i neuroni) e una riduzione del flusso sanguigno cerebrale correlati ad una diffusa rarefazione dei capillari cerebrali.
“I nostri risultati – afferma Lorenzo Carnevale, ingegnere e ricercatore del Dipartimento di AngioCardioNeurologia e Medicina Traslazionale dell’Irccs Neuromed – rappresentano un ulteriore sviluppo nel lavoro che portiamo avanti da molti anni per gettare nuova luce sul modo in cui l’ipertensione può determinare il decadimento cognitivo e contribuire all’insorgenza di malattie neurodegenerative. Oltre agli effetti noti dell’ipertensione su altri organi, come cuore e reni, per i quali abbiamo esami specifici, anche il cervello subisce alterazioni significative. Oggi – continua il ricercatore – abbiamo la possibilità di rilevare tempestivamente queste alterazioni mediante tecniche di imaging avanzate”. Questo “potrebbe rappresentare un passo in avanti importante nel contesto della gestione clinica dell’ipertensione e nella comprensione dei suoi effetti a lungo termine sul cervello”.
Ma lo studio è andato più in profondità, rivelando il ruolo patogenico di un meccanismo neuroinfiammatorio mediato dai linfociti Tcd8+ che producono interferone-γ. Questa ulteriore scoperta apre la strada a nuove prospettive terapeutiche capaci di rallentare il processo di deterioramento cognitivo.
“Quando qui in Neuromed parliamo di ricerca traslazionale – sottolinea Giuseppe Lembo, professore ordinario di Scienze e Tecniche mediche traslazionali all’Università La Sapienza di Roma e direttore del Dipartimento di AngioCardioNeurologia e Medicina traslazionale dell’Irccs Neuromed – non ci stiamo riferendo a una generica collaborazione tra laboratori di ricerca e clinica. Questo studio mostra in modo chiaro la concretezza del concetto di traslazionalità: la cura dei pazienti stimola osservazioni nuove. E queste idee le portiamo in laboratorio, dal quale possiamo attenderci sviluppi concreti che – conclude – torneranno ai pazienti stessi in forma di nuove tecniche diagnostiche e nuove terapie”.