(Adnkronos) –
Il rumore fa male al cuore e rischia di aumentare il rischio di infarto. E’ la conclusione a cui arrivano due studi recenti sulle conseguenze del caos che caratterizza in particolare la vita nelle grandi città. Il ‘suono’ del traffico, quello dei lavori in corso, sirene e clacson, urla e schiamazzi della movida. La colonna sonora delle metropoli che non dormono mai potrebbe rappresentare più che un semplice fastidio per le orecchie dei residenti.
Secondo due nuovi studi condotti in diversi centri abitati europei, l’inquinamento acustico urbano rischia di essere anche nemico del cuore. Gli autori dei lavori, che vengono presentati in occasione del Congresso della European Society of Cardiology Esc 2024 a Londra, evidenziano “un impatto negativo significativo” sulla salute cardiaca. Una delle due ricerche, condotta in Germania, segnala come il troppo rumore delle città potrebbe aumentare significativamente il rischio di infarto miocardico precoce nei giovani con bassi fattori di rischio tradizionali.
L’altro lavoro condotto in Francia si è invece concentrato su chi già aveva avuto un precedente attacco di cuore rilevando una “forte associazione tra l’esposizione al rumore urbano, in particolare di notte, e una prognosi peggiore a 1 anno dal primo infarto miocardico”, come spiegato dagli autori.
Lo studio tedesco ‘Decibel-Mi’ ha coinvolto 430 pazienti residenti a Brema e di età dai 50 anni in giù, ricoverati con infarto miocardico acuto in un centro cardiologico locale. Gli autori dimostrano che questi pazienti under 50 sono stati esposti a livelli di rumore più elevati rispetto alla popolazione generale.
E suggeriscono che includere l’analisi del fattore inquinamento acustico nei modelli di previsione aiuta a identificare con precisione le persone più a rischio, portando a una prevenzione più mirata. Nello studio, i pazienti con infarto miocardico e un punteggio che indicava un basso livello di fattori di rischio tradizionali, come fumo o diabete, hanno mostrato un’esposizione al rumore significativamente maggiore rispetto a quelli con un punteggio alto nei fattori di rischio tradizionali. Secondo gli esperti, ciò evidenzia come i modelli tradizionali di valutazione potrebbero sottostimare il rischio cardiovascolare nei giovani altrimenti considerati a basso rischio. Incorporando l’esposizione al rumore in questi modelli, la valutazione si fa più accurata, assicurano.
Lo studio francese ‘Envi-Mi’ ha invece raccolto dal database dell’osservatorio francese Rico dati su 864 pazienti ricoverati in ospedale per infarto miocardico acuto e sopravvissuti almeno 28 giorni. Al follow-up a 1 anno, il 19% di loro aveva presentato un evento cardiovascolare avverso maggiore (Mace): morte cardiaca, ricovero per insufficienza cardiaca, infarto miocardico ricorrente, rivascolarizzazione d’urgenza, ictus, angina o angina instabile. I livelli di esposizione giornaliera al rumore misurati all’indirizzo di casa di ciascun paziente (livello medio di rumore in decibel A pari a 56 nelle 24 ore e 49 di notte) sono stati considerati moderati e rappresentativi di una larga parte della popolazione europea. Quello che gli autori hanno osservato è che c’era un aumento del 25% del rischio di eventi cardiovascolari maggiori per ogni aumento di 10 decibel A (dBa) di rumore durante la notte, indipendentemente dall’inquinamento atmosferico, dai livelli socioeconomici e da altri fattori confondenti.
“Questi dati forniscono alcune delle prime intuizioni sul fatto che l’esposizione al rumore può influenzare la prognosi – conclude l’autrice dello studio Marianne Zeller, University of Burgundy e ospedale di Digione, in Francia – Se confermata da studi prospettici più ampi, la nostra analisi potrebbe aiutare a identificare nuove opportunità per strategie di prevenzione secondaria basate sull’ambiente, tra cui barriere antirumore per pazienti con infarto miocardico ad alto rischio”.