(Adnkronos) – “Si annunciano forse tempi meno inclementi per il professionismo politico. Dopo anni e anni spesi a demonizzare quanti avevano fatto della politica il loro mestiere c’è qualche segno -piccolo, ambiguo, ancora informe- che l’aria stia un po’ cambiando. Almeno a giudicare dalle più recenti vicissitudini italiane ed europee.
A Bruxelles Ursula von der Leyen ha dato prova di un discreto talento manovriero nel comporre il mosaico della nuova commissione che è stata chiamata a presiedere. Con un misto di furbizia, pazienza e visione è riuscita a comporre un equilibrio che appare piuttosto solido, amalgamando forze in contrasto e limando alcune di quelle asperità che rischiavano di intralciare il suo cammino. Nulla di epocale, s’intende. Ma il suo personalissimo manuale Cencelli delle nomine europee sembra poter funzionare quasi quanto quello dell’Italia che fu.
La nomina di Raffaele Fitto rientra in questo contesto. La nostra poca (o forse troppa) fantasia ha voluto commentare la sua indicazione tirando in ballo ancora una volta il suo passato democristiano. Commento banale e forse anche poco appropriato. Personalmente ho molte esitazioni a credere che una pianticella democristiana possa fiorire nel giardino meloniano. Ma non c’è dubbio che la solida professionalità politica dell’interessato gli abbia aperto più di una porta -anche a Bruxelles.
Saltando di palo in frasca si può segnalare la crisi in cui si sta avvitando il M5S nel pieno della querelle tra Grillo e Conte. Una storia bassa, che si consuma tra consulenze d’alto bordo, lettere criptiche e furbizie un po’ dozzinali. Tutte cose che anche la politica d’antan ha conosciuto e praticato, s’intende. Ma che stridono assai in un contesto che prometteva di essere nuovo e immacolato, laddove le vecchie regole del mestiere avrebbero dovuto essere abolite una volta per tutte.
Insomma la prova dei fatti dice che i “professionisti” danno il meglio quando fanno il loro mestiere. E che i “dilettanti” non resistono prima o poi alla tentazione di fare il mestiere delle loro stesse vittime. Facendolo però in modalità assai più malaccorte e pasticciate.
Non tutto tornerà come prima, è ovvio. Chi sogna la rinascita dei vecchi partiti e la faticosa costruzione dei percorsi politici di un tempo andrà incontro a qualche delusione. Probabilmente non tornerà l’Italia dei congressi infiniti, delle riviste pensose, delle correnti organizzate, dei capelli spaccati in quattro. Tutte cose che non meritavano il vituperio in cui sono cadute, ma che difficilmente troveranno la via di una fulgida risalita. Ma resta il fatto che noi siamo un paese ad alta, altissima densità politica. Da anni -o meglio, da secoli- dedichiamo tanto del nostro tempo e della nostra immaginazione alla dimensione pubblica. E dunque non possiamo certo pensare di espungerla dal nostro orizzonte inseguendo la discutibile chimera dell’antipolitica. In compenso, ci resta il problema di come organizzarla, la politica. Problema non da poco, come la storia insegna.
Il fatto è che la lunga guerra tra chi pensa che la politica sia mestiere e vocazione, con le sue regole ferree, e chi invece se la immagina come una specie di happening affidato all’interpretazione del primo che passa è una di quelle contese destinate a non trovare pace. Ognuna di queste due visioni infatti è così lontana da quella opposta da pretendere una resa senza condizioni. E per quanto la nostra fantasia continui a rincorrere la chimera della “romanizzazione dei barbari”, come si usa dire, è piuttosto ovvio che in questo caso romani e barbari continueranno a militare su opposte trincee.
Resta il fatto che dopo un decennio e più in cui i “barbari” (sia detto senza offesa) hanno avuto la meglio, disponendo di una sorta di egemonia sulla nostra vita pubblica, ora sembra tornato il momento dei “romani”. Sperando che di questo momento più propizio sappiano fare buon uso, consapevoli che in questa battaglia nessuno di questi esiti momentanei viene mai scolpito nella pietra”. (di Marco Follini)