Dal 1990 a oggi a Viadana una lunga scia di sangue con otto omicidi

VIADANA – Un delitto efferato quello compiuto la sera del 19 settembre scorso a Viadana  che va a sommarsi agli altri omicidi accaduti negli ultimi decenni nella città rivierasca.
Qui il 4 dicembre 2014 venne ucciso Giorgio Gobbi, imprenditore 43enne ammazzato a fucilate nella sua ditta il cui cadavere fu poi ritrovato nel baule della sua Range Rover  abbandonata nel parcheggio di un centro commerciale a Parma. Per l’omicidio venne condannato il cognato della vittima Luciano Bonazzoli, ed altre persone.
Il 30 settembre del 2003 il falegname Roberto Mazzeo massacrò di botte e uccise il 23enne Marco Stuto, suo ex dipendente di origine siciliana che abitava a Bellaguarda. Il suo corpo venne fatto sparire e fu ritrovato solo un anno dopo nella golena del Po. Un delitto quest’ultimo che, in una fitta rete di relazioni di parentele di Mazzeo, si intrecciò anche con il tragico sequestro del piccolo Tommy.
Era invece il 30 giugno sempre 2003 invece quando Bruna Cocconi venne trovata morta a 55 anni con il cranio fracassato nella frazione di Buzzoletto.
Quasi due anni prima, il 16 settembre 2001, il 32enne Rocco Sorrentino, di origine calabrese, venne massacrato nel sonno dal suocero Adriano Malagola e dalla moglie Milena, al culmine di violente liti famigliari.
Il 7 novembre 1992 Viadana fu teatro degli omicidi, rimasti irrisolti, di Domenico Scida e Maurizio Puca che vennero giudiziariamente inquadrati nelle lotte intestine del clan di ‘ndrangheta già insediatisi nella zona.
Ed è invece dell‘8 novembre 1990 uno degli omicidi che più fecero scalpore al momento ma che ben presto cadde nell’oblio: l’uccisione di Giuseppe Oppici da parte di Giuseppe Bonfatti. Un delitto che per l’omicida era “un atto dovuto” in quanto vendetta di una rappresaglia che Oppici, nel lontano 1944 da fascista aveva perpetrato a capo di un gruppo di Brigate Nere, bruciando la casa di Bonfatti al cui interno c’erano la madre e la sorella. Bonfatti, classe 1924 che all’epoca era un partigiano, nome di battaglia “Remo”, passò poi lunghi anni in Brasile e, a detta sua, tornò proprio per mettere a segno la sua vendetta.