(Adnkronos) – Da oggi, martedì 1 ottobre, la Nato ha un nuovo segretario generale. Il laburista norvegese Jens Stoltenberg, che guida l’Alleanza dal 2014, passa il testimone a Mark Rutte. Il liberale olandese, già manager della multinazionale Unilever, è stato primo ministro dei Paesi Bassi dal 2010 al 2024, un tempo lunghissimo, tanto che lui stesso ci scherzava, assicurando che l’Olanda restava “una democrazia”.
Ora assume la guida dell’Alleanza atlantica ed è il quarto olandese a ricoprire la carica di segretario generale. Prima di lui la Nato ha visto tre ‘SecGen’ dei Paesi Bassi: a ritroso, Jap de Hoop Scheffer (undicesimo SecGen, 2004-2009), Joseph Luns (il quinto, 1971-1984) e Dirk Stikker (il terzo, 1961-64). Rutte a Bruxelles è di casa. Nel Consiglio Europeo, dove insieme all’ungherese Viktor Orban era il leader con la maggiore anzianità di servizio, era noto per la padronanza dei dossier, che conosceva a menadito.
Molto apprezzato dalla stampa, raramente ha mancato un doorstep: era capace di fermarsi anche per 20 minuti, alle 3 e mezza del mattino, per spiegare pazientemente ai cronisti che cosa era successo, prima in olandese e poi in inglese. Saldamente atlantista, è soprannominato ‘Teflon’, per la sua abilità nel superare qualsiasi crisi politica, grazie alla sua duttilità e abilità nella mediazione: riuscì a trovare un accordo persino con Giuseppe Conte su Next Generation Eu, che dava all’Italia oltre 200 miliardi di euro raccolti emettendo Eurobond, in un Consiglio Europeo fiume nell’estate del 2020 dal quale entrambi i premier uscirono vincitori. E’ largamente considerato un costruttore di consenso e un tessitore di coalizioni, tutte qualità che gli torneranno utili nel mestiere di segretario generale di un’Alleanza che conta 32 Paesi, ancora più dei 27 dell’Ue.
Rutte raccoglie un’eredità pesante, quella di Jens Stoltenberg, che ha retto l’Alleanza in una delle fasi più difficili della sua storia, segnata dall’invasione russa dell’Ucraina. Durante i suoi dieci anni alla guida dell’Alleanza, il politico norvegese ha gestito l’adesione di quattro nuovi Paesi membri: Montenegro (2017), Macedonia del Nord (2020), Finlandia (2023) e Svezia (2024). Nel corso del suo mandato, ha retto alla presidenza Usa di Donald Trump, che ha spinto con molto vigore gli alleati europei ad aumentare le spese militari.
Rutte si troverà ad affrontare una situazione non semplice. Come ricorda Armida van Rij, Senior Research Fellow della Chatham House (“The three key priorities new Nato Secretary-General Mark Rutte must get right”), la Nato oggi deve confrontarsi con una Russia “revisionista” e con una Cina “assertiva”. Internamente, “ci sono sfide alla democrazia nell’Alleanza e scorte militari esaurite”. E i nuovi piani regionali Nato necessitano ancora di “risorse adeguate”. Ironia della sorte, l’ex leader dei ‘Frugali’ dell’Ue ora dovrà spingere gli Stati membri della Nato, molti dei quali fanno anche parte dell’Unione, a mettere mano al portafogli per investire nella difesa.
Rutte dovrà affrontare diverse sfide. Anzitutto, l’Ucraina. Se a novembre vincerà Donald Trump, spiega van Rij, non sarà più “isolato in Europa com’era nel 2016. Troverà amici nei governi di Ungheria, Italia e Paesi Bassi, tra gli altri, che sono anche scettici sul sostegno all’Ucraina, e vicini alla Russia nel caso dell’Ungheria, rendendo la sfida ancora più grande per Rutte”. Il secondo scenario è una presidenza di Kamala Harris, con i Dem che però “non in grado di approvare pacchetti di aiuti attraverso un Congresso diviso”. In entrambi gli scenari, “le voci che chiedono la fine della guerra potrebbero diventare più forti. Anzi – nota – stanno già guadagnando terreno in alcuni circoli politici europei”.
Il costo di una vittoria russa in Ucraina, ricorda van Rij, per l’Europa sarebbe altissimo: “Ci sarebbero – prevede – minacce dirette alla sicurezza del fianco orientale della Nato”, oltre ad “un numero enorme di rifugiati in fuga dall’Ucraina, un Paese di 38 milioni di abitanti, per cercare rifugio in tutta Europa, in un momento di crescente sentimento anti-immigrazione in molti Paesi europei”. Questo vuol dire che Rutte, comunque vada, “dovrà trovare il modo di aumentare il supporto militare all’Ucraina”.
Inoltre, visto che, chiunque vinca a novembre negli Usa, nel medio e lungo termine l’attenzione e le risorse americane saranno sempre più dirette verso l’Asia-Pacifico, vista l’attenzione “bipartisan” sulla Cina, Rutte dovrà “mantenere gli Stati Uniti impegnati in Europa, mentre l’Europa impara a badare a se stessa”, cosa che dovrebbe fare “in fretta”. Infine, Rutte dovrà far sì che la Nato metta davvero in pratica il nuovo concetto di difesa e deterrenza dell’area euro-atlantica, concordato nel 2020 e affinato nei vertici di Madrid e Vilnius. Senza “personale e risorse adeguati”, avverte, questi piani rischiano di non essere “credibili” in termini di deterrenza.
Le principali lacune, spiega van Rij, “includono la difesa aerea del fianco orientale”, dove la Nato avrebbe “solo il 5% della difesa aerea necessaria”. C’è, infine, il “tallone d’Achille della sicurezza europea”, la cooperazione Ue-Nato, sempre professata a parole, molto meno nei fatti. Mentre l’Ue “si spinge sempre più verso la difesa” e la Nato “si sposta verso aree di resilienza e protezione civile in cui l’Ue ha tradizionalmente maggiore competenza”, la necessità di una “migliore cooperazione”, osserva van Rij, è “chiara”. Se Rutte riuscirà ad affrontare con successo queste tre questioni, la Nato si troverà in una posizione migliore per gestire le nuove sfide poste da Russia e Cina.