MANTOVA – Nel corso del 2023 la rete Caritas ha incontrato 302 persone senza dimora, pari a poco meno del 10% delle situazioni totali con cui è venuta in contatto, e in costante crescita rispetto agli anni precedenti. Sono stati prevalentemente cittadini stranieri rispetto agli italiani, e uomini rispetto alle donne. Infatti circa il 10,5% degli stranieri incontrati è senza dimora, mentre per gli italiani l’incidenza di questa condizione scende al 8,4%. Per quanto riguarda il genere, il 18,1% degli utenti della rete Caritas senza dimora sono uomini, contro il 2,8% delle donne.
Sono i dati che il direttore della Caritas diocesana Matteo Amati illustra per puntare l’attenzione sulla morte di Sadak , l’uomo che la scorsa settimana è stato trovato senza vita all’interno della propria auto, e sui tanti casi di emarginazione che si registrano a Mantova.
“Sadak era una persona schiva, con poche relazioni, senza una casa. Possedeva solo la sua auto, che era diventata l’unico luogo dove ripararsi durante la notte. Sadak è morto presumibilmente per un malore, per cause naturali. Meno “naturale”, o per così dire normale, è che una persona possa morire in quelle condizioni nella nostra piccola e agiata realtà mantovana. Viene spontaneo chiedersi quali siano le motivazioni che hanno portato alla sua morte, e se la nostra comunità ha fatto tutto il possibile perché questo non avvenisse” scrive Amati.
“Sadak era conosciuto da CASA San Simone, il centro di ascolto Caritas che opera nella zona di Mantova, e dai servizi sociali, che insieme e in diverse occasioni nel tempo gli avevano proposto degli aiuti e delle possibili vie di uscita verso una condizione di maggior sicurezza e benessere. Purtroppo in questa triste vicenda è mancata quella piccola scintilla di speranza che avrebbe potuto aiutare Sadak a superare la condizione di torpore e apatia che gli ha impedito di vedere nella mano che gli veniva tesa uno spiraglio di futuro. Quanto è accaduto a Mantova succede troppo spesso e viene denunciato da molti anni dalla Fio.Psd, la Federazione Italiana Organismi per le Persone senza dimora, che annualmente riporta i dati di quella che viene definita la “strage invisibile”, cioè la morte in strada delle persone senza dimora per malori, per malesseri fisici improvvisi o eventi traumatici. Nel 2024 sono state 405. Verrebbe da pensare che questo non ci riguarda, perché è un fenomeno che si manifesta solo nelle grandi città e non nella nostra provincia. La morte di Sadak e i dati dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas dimostrano però il contrario” continua Amati.
“In linea con gli studi sociologici e le ricerche di Istat riguardo la grave emarginazione sociale, anche nella nostra provincia le persone senza dimora si concentrano nel capoluogo. Nelle città infatti sono presenti i principali servizi di accoglienza, di cura della salute, della mobilità, e lì è più semplice rimanere in una condizione di anonimato per evitare lo stigma sociale. Anche la realtà mantovana segue questa tendenza: circa il 75% dei fenomeni di grave emarginazione sociale si concentra nel territorio del comune di Mantova. Come fare per affrontare questo fenomeno? Possiamo individuare alcune piste di lavoro grazie all’esperienza maturata in questi anni dai servizi che sono attivi a Mantova nel campo della grave marginalità adulta. È fondamentale innanzitutto che sia presente una rete articolata, e non una sola realtà, che possa prendere in carico le situazioni delle persone senza dimora. Nel capoluogo della provincia collaborano stabilmente i servizi sociali del comune di Mantova e il piano di zona CoProSol, la rete Caritas (con l’associazione Abramo per la gestione del rifugio invernale, del pronto intervento sociale e di Casa della Rosa e Agape con il Centro di Ascolto Casa San Simone) e il terzo settore con la cooperativa Alce Nero per la gestione della stazione di posta e Bessimo con gli educatori di strada. E’ presente inoltre un gruppo di volontari, costituito da persone legate alle parrocchie della città, da cittadini e giovani scout, che da anni si sperimenta in piccoli servizi di prossimità e relazione. Occorre lavorare affinché la rete dei soggetti coinvolti diventi sempre più plurale.
Seconda condizione necessaria è favorire l’iscrizione anagrafica delle persone senza dimora attraverso una rigorosa applicazione della norma, per scongiurare l’esistenza di persone prive di residenza. Avere una residenza infatti è il primo passo per poter accedere alle cure sanitarie e progettare i percorsi di reinserimento sociale. Purtroppo evidenziamo che solo in alcuni comuni vengono praticate tutte le prassi e le strategie permesse dalla normativa in essere, come ad esempio l’iscrizione agli elenchi delle persone senza fissa dimora o l’elezione di residenze fittizie. Bisogna incentivare l’utilizzo di queste prassi per gli evidenti benefici nell’ambito della coesione sociale, dell’incremento della sicurezza delle nostre comunità e della diminuzione dei costi dei servizi offerti, perché si preverrebbe la cronicizzazione del disagio. Il lavoro di restituzione dell’Osservatorio delle povertà e delle risorse consegna alle nostre comunità la responsabilità di lasciarsi interrogare dai numeri e dalle storie delle persone, per continuare a cercare soluzioni sempre più efficaci per supportarle. Fare finta di niente e sperare che le situazioni di marginalità sociale si risolvano da sole o si spostino altrove è una logica poco lungimirante, che non può fare altro che peggiorare i nostri contesti sociali. L’esperienza di Fio.Psd ci insegna infatti che la tempestività dell’intervento è un elemento facilitante rispetto all’uscita dalla condizione di disagio: maggiore è il tempo in cui si vive in condizione di fragilità e maggiore è complesso, e costoso, l’intervento sociale di recupero che viene richiesto” conclude il direttore Caritas.