23 APRILE, IL BOATO CHE ANNUNCIO’ LA FINE
Lunedì 23 aprile, verso le 9 di sera, a Mantova si udì una violentissima esplosione: non c’erano stati segnali di allarme aereo, ma lo scoppio aveva mandato in frantumi i vetri delle case in piazza Sordello nonché delle strade vicine ai laghi di Mezzo e Inferiore. Poco dopo i mantovani scoprirono cosa aveva provocato tale deflagrazione: il ponte di San Giorgio era stato ridotto a un cumulo di macerie. I tedeschi in fuga l’avevano fatto saltare in aria. Nei giorni successivi emerse anche una seconda versione: quella di un’azione partigiana che avrebbe fatto saltare il manufatto. La storia però attribuì poi ufficialmente il bombardamento ai tedeschi che scappavano verso nord. Fu probabilmente il primo atto di quelli che nel giro di due giorni portarono alla Liberazione di Mantova avvenuta proprio il 25 aprile 1945.
25 APRILE, MANTOVA E’ LIBERA
Il giorno prima, il 24 aprile, le brigate partigiane Matteotti, Bonomi e 126esima Garibaldi occupavano i principali edifici pubblici in modo da riorganizzare la vita amministrativa. Nello stesso giorno i reparti britannici e neozelandesi avevano attraversato il Po mentre il 23 aprile gli americani avevano liberato Reggio Emilia e, i britannici, Ferrara.
La seconda guerra mondiale era finita e così le devastazioni e gli eccidi che il Paese aveva conosciuto dopo l’8 settembre 1943.
Il 25 aprile le prime truppe americane entrarono in città, provenendo da San Benedetto Po: “era il reparto 91° Recon che dipendeva dal Quarto Corpo d’Armata Americano” spiega Simone Guidorzi, direttore del Museo della Seconda Guerra Mondiale del Fiume Po di Felonica. Gli Alleati entrarono a Mantova da Porta Cerese, poi percorsero Corso Garibaldi e arrivarono nel centro della città. Ovunque erano accolti tra applausi senza sosta, la gente abbracciava i soldati, dalle finestre sventolano i tricolori. Sotto, a piedi e sulle jeep, sfilavano sorridenti i militari che lanciavano alla folla in festa sigarette, barrette di cioccolato e “ciunghe americane”, una novità graditissima a bambini e ragazzi, come un’altra novità fu vedere che tra i liberatori c’erano anche soldati dalla pelle scura.
Scene che si ripeterono ovunque in tutte le città, all’avanzare della liberazione del Paese come si ripeterono i festeggiamenti che in quel 25 aprile a Mantova andarono avanti fino a notte fonda con le strade, le tante osterie e i bar piene di gente che cantava e ballava. Non in tutta la provincia il 25 aprile coincise con un giorno di festa: a Villa Garibaldi, proprio quella mattina, l’ultimo bombardamento degli Alleati causò 27 morti. Vi fu poi il 30 aprile l’ultima battaglia combattuta sul suolo italiano a Monte Casale, nei pressi di Ponti sul Mincio, al termine della quale si contarono numerose vittime anche tra i civili.
L’AMMINISTRAZIONE MILITARE E IL CLN
L’Amministrazione militare della città, Allied Military Government, venne affidata al tenente colonnello sudafricano E. G. Fricker che operò collaborando con il locale Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) nato il 7 luglio 1944 nella casa di via Rubens 13 di don Costante Berselli.

Quest’ultimo aveva aderito al gruppo partigiano socialista di Felice Barbano e il mese successivo venne arrestato dai tedeschi mentre dal campanile della chiesa di San Gervasio, a Porta Mulina, stava trasmettendo con una radio clandestina informazioni al comando alleato. Venne deportato in campo di concentramento a Dachau da cui riuscì a tornare.
Alla prima riunione del Cln mantovano avevano partecipato esponenti della Democrazia Cristiana, del Partito Comunista Italiano, del Partito Socialista Italiano, del Partito Liberale e dell’allora Fronte della Gioventù, composto da giovani studenti universitari.
4 MAGGIO: UN SINDACO PER LA NUOVA MANTOVA
Proprio la sezione locale del Cln nominò, di lì a poco, la nuova Giunta comunale che si riunì per la prima volta il 4 maggio 1945 nel Palazzo Civico di Mantova.

Vi parteciparono: il Sindaco Carlo Camerlenghi (socialista), il Vice-sindaco Giovanni Borella, gli assessori Umberto Mantovani, Giovanni Appari, Bruno Generali e Camillo Pardella. Furono presenti anche il Segretario Achille Tumminello e il Prefetto Tommaso Solci, accompagnato dal suo Capo di Gabinetto dott. Orlando. Il primo oggetto trattato all’ordine del giorno, dopo i saluti istituzionali, riguardò la toponomastica cittadina: la Giunta Municipale, “ritenuta la necessità di iniziare d’urgenza il cambiamento della denominazione di alcune vie e piazze attualmente intitolate a nomi non più consoni al risorgere di una nuova era di libertà e di giustizia”, delibera di restituire le precedenti denominazioni a via (sic) Cavallotti, corso Vittorio Emanuele II, corso Umberto I, via Principe Amedeo e via Bertani.
Delibera inoltre di modificare i nomi di via Crispi, piazza Ciano e via Leoni in – rispettivamente – via Matteotti, piazza don Leoni e via Giuseppina Rippa.
E I MANTOVANI RITROVANO ANCHE IL QUOTIDIANO LOCALE: NASCE “MANTOVA LIBERA”
Due giorni dopo l’insediamento della nuova Giunta comunale, il 6 maggio 1945 i mantovani, dopo 16 giorni di forzata astinenza, ritrovavano in edicola anche un quotidiano locale. E’ il compianto giornalista e scrittore mantovano Renzo Dall’Ara ad averlo descritto in diversi suoi testi: “Testata nuova, come l’aria che si respirava dopo la ritirata precipitosa dei tedeschi e l’entrata il 25 aprile, degli anglo-americani: «Mantova Libera», sottotestata «Organo del Comitato di Liberazione Nazionale». Sonante titolone a 9 colonne: «Uniti per la rinascita d’Italia. Squarciata la tenebra della duplice oppressione la città dei Martiri è restituita alla Patria».BR Due sole facciate, la provvista di carta non consentiva di più. Redazione e tipografia in Palazzo Strozzi, corso Vittorio Emanuele 30 (ex Banca Agricola Mantovana oggi Mps), fino al 19 aprile occupati da «la Voce di Mantova», organo del Partito Fascista Repubblicano, che per i danni subiti dal bombardamento incendiario del 14 luglio 1944, aveva dovuto traslocare da via Dario Tassoni 12. Come organo del Cln, la redazione rispettava un equilibrio quadripartito: direttore democristiano, Vittorio Emanuele Chesi; condirettori il demoliberale Romano Marradi, il comunista Gino Veneri e il socialista Bruno Vivenza. Nominalmente, l’editore di «Mantova Libera» era il Cln, ma nella realtà per uscire aveva dovuto superare il passaggio obbligato dell’Allied Military Government, proprio nella persona del tenente colonnello E. G. Fricker, che era anche braccio esecutivo, dello Psycological Warfare Branch, creato sia per la propaganda, sia per pilotare il ritorno della libertà di stampa…..”
21 LUGLIO 1946: IL PONTE RICOSTRUITO

“Mantova Libera” verrà stampata, con vari passaggi di testimone in redazione, fino al 20 luglio 1946. Il 21 luglio tornò definitivamente la “Gazzetta di Mantova”.Era una domenica e in quello stesso giorno venne inaugurato il nuovo ponte di San Giorgio alla presenza del sindaco di Mantova Camerlenghi, delle massime autorità del territorio e di una folla di abitanti di San Giorgio che organizzarono una festa di ben tre giorni. Manufatto progettato dal professor Guido Oberti del Politecnico di Milano mentre a capo del cantiere, affidato all’impresa Enrico Romagnoli di Milano, era stato chiamato l’ingegnere mantovano Ottorino Pavesi. La ricostruzione della città poteva dirsi davvero cominciata …..
IL VIDEO, NEL NOME DI TUTTI COLORO CHE CI RESTITUIRONO IL DOMANI
Nel video riproponiamo una riflessione nata in occasione del 25 aprile di quattro anni fa. Un pensiero che ci riporta a Mantova, al momento in cui la guerra cessò e calò il sipario su un dramma collettivo che si era impresso nei destini individuali di un’intera generazione. Furono cinque anni, dal 1940 al 1945, segnati da dolore e privazioni, preceduti da un’oscura stagione di libertà negata.
Ma furono anche gli anni in cui, nel silenzio e nell’ombra, tanti uomini e donne a Mantova compirono gesti eroici. Persone comuni — vigili del fuoco, crocerossine, preti, cittadini — che, mettendo a rischio la propria vita, salvarono quella degli altri. Aiutarono prigionieri a fuggire dai campi di concentramento, nascosero chi era braccato, offrirono rifugio e speranza. E poi i partigiani, la cui azione e il cui sacrificio restano scolpiti nella storia e nella coscienza collettiva dell’intero Paese.
In quella riflessione, come oggi, sentivamo il dovere di ricordare e dire grazie. A loro, ai tanti eroi silenziosi di casa nostra. Come sentivamo il dovere di dire grazie a quei ragazzi venuti da lontano, dall’Ohio, dal Wisconsin, o da luoghi ancora più remoti— giovani che spesso non sapevano nemmeno dove fosse l’Italia, ma che per l’Italia hanno dato la vita. Che il loro coraggio e il loro sacrificio non cadano mai nell’oblio. A loro dobbiamo il dono più prezioso: la libertà. Che ogni sentimento dell’oggi verso i loro Paesi, verso i leader che li governano — a cominciare dagli Stati Uniti — non sia mai così forte da oscurare la nostra gratitudine verso di loro e le loro bandiere, venute da oltre oceano, che 80 anni fa hanno consentito all’Italia e a gran parte del mondo di conoscere il periodo più lungo di prosperità e di pace.