MANTOVA – Un taccuino ottocentesco donato a Palazzo Ducale: i preziosi appuntamenti di viaggio di un ignoto artista a Mantova tra il 1825 e il 1842. Il dono, che va ad arricchire le già preziose collezioni della reggia è stato fato da una benefattrice anonima.
Già nel Settecento si usava chiamarlo “Grand tour”: era il viaggio che i giovani dei ceti benestanti conducevano attraverso l’Europa per perfezionare la loro educazione. Poteva durare diversi mesi, a volte anche anni, durante i quali non mancavano soste prolungate in città dove studiare i capolavori dell’antichità, imparare la storia e – perché no? – acquistare qualche opera d’arte. Tra le tappe imprescindibili c’erano naturalmente le città d’arte italiane: Roma su tutte ma anche Venezia, Firenze, Napoli e poi la Sicilia. È difficile sovrastimare le implicazioni che questa vera e propria “moda” ebbe sulle società dell’epoca: il successo e la diffusione dello “stile palladiano” in Inghilterra, per esempio, non si sarebbe mai potuto verificare se intere generazioni di artisti britannici non avessero avuto come apice della loro formazione proprio il Grand Tour in Italia e, nella fattispecie, in territorio veneto. Possiamo affermare che la reputazione dell’Italia come luogo della bellezza e dell’arte, fortunatamente viva ancora oggi, si incrementò significativamente proprio in quei decenni, grazie alla consolidata pratica del Grand Tour. Senza contare che uno dei più noti e influenti intellettuali europei tra Sette e Ottocento, Goethe, cristallizza le sue riflessioni di viaggio nella monumentale opera letteraria in due volumi intitolata appunto “Viaggio in Italia”, che avrà com’è noto ampia diffusione.
Il taccuino
Si tratta di 82 fogli, di cui ben 58 con disegni a matita di grafite al recto e al verso, vergati da una mano sicura e di alta qualità, che ha preso appunti di dipinti, sculture, monumenti, ma anche personaggi visti e copiati principalmente a Venezia, ma anche Verona, Ferrara, Cento, Bologna e naturalmente Mantova: opere d’arte che spaziano dal Medioevo al Settecento. Non tutti gli appunti grafici sono riferibili a monumenti od opere immediatamente identificabili, ma alcune ci offrono riferimenti cronologici per datare il taccuino: in San Zeno a Verona sono indicati “tre quadri di Mantegna reduci da Parigi”, il che offre una datazione post 1815; una copia dall’Assunzione del Guercino già in collezione Tanari a Bologna, sarà anteriore al 1842, anno della vendita del dipinto, oggi all’Ermitage di San Pietroburgo.
«Desidero non solo esprimere gratitudine alla donatrice di questo bel taccuino – afferma il Direttore di Palazzo Ducale Stefano L’Occaso – ma anche richiamare interesse su questa serie di disegni, che includono monumenti medioevali veronesi, dipinti del Rinascimento veneziano, opere del Guercino, ma anche la chiesa albertiana di Sant’Andrea e alcuni affreschi di Palazzo Te, che l’ignoto artista ebbe modo di apprezzare. Si tratta, io credo, di un pittore dell’Italia del nord, probabilmente un veneto, che già partecipa dello spirito romantico e che si dimostra anche abile ritrattista. Alcune annotazioni a matita potrebbero suggerire che l’autore dei disegni sia Placido Fabris (Pieve d’Alpago, 26 agosto 1802 – Venezia, 7 dicembre 1859), un pittore a lungo attivo a Venezia ma anche a Milano; questa ipotesi porterebbe a datare il taccuino entro il 1838».
Palazzo Ducale attende con fiducia che qualche giovane studioso, magari con l’occasione di una tesi di laurea o di dottorato, si voglia cimentare nello studio del taccuino, identificando tutte le opere ritratte e cimentandosi nell’individuazione dell’autore.