“Questore Sartori, brindiamo se muori”. E’ il testo riportato da un manifesto, corredato da falce e calice di vino incrociati e slogan anarchico in codice, affisso nei giorni scorsi in una piazza di Bolzano e la cui foto è stata rilanciata sulla pagina Instagram “Rosa Rote Armee Fraktion” collegata ai collettivi anarchici italiani.
E’ quanto accaduto al mantovano Paolo Sartori, attualmente questore a Bolzano, al quale stanno giungendo espressioni di solidarietà dal mondo politico.
Tra i primi a esprimere a Sartori solidarietà c’è stato il sindaco di Mantova Mattia Palazzi, e così dicasi dei capigruppo Svp alla Camera e al Senato Unterberger e Schullian. “Minacce inaccettabile che impongono una pubblica condanna” hanno affermato. “Ribadiamo il nostro sostegno per la sua azione a tutela della legalità e per il contrasto ad ogni espressione o manifestazione che sia in conflitto con i principi della convivenza civile”.
A parlare di “Pagina disgustosa e inaccettabile ai danni di un integerrimo funzionario dello Stato che sta applicando la legge senza sconti per nessuno” è anche la deputata di Fdi Alessia Ambrosi.
“Un’azione inaccettabile che deve essere severamente punita. In un momento in cui si fanno campagne contro il linguaggio d’odio mi aspetto un’espressione di solidarietà per il questore Paolo Sartori e una condanna pubblica di questa azione” ha affermato l’assessore provinciale di Bolzano Ulli Mair. Solidarietà è arrivata a Sartori anche dal senatore Pierantonio Zanettin di Vicenza dove Sartori è stato questore dopo Mantova.
Sartori in ogni caso non si scompone di fronte alla minaccia. “Sono fatti fastidiosi ma non servono a intimidirmi” ha dichiarato.
Del resto l’ex questore di Mantova si è trovato nella vita ad avere a che fare con minacce di ben altra natura che lo hanno costretto a vivere sotto scorta dal 2015 al 2017. In quegli anni Sartori era a Bucarest, su incarico ministeriale, dove ricopriva il ruolo di direttore dell’Ufficio regionale di coordinamento operativo per l’Europa orientale, la Federazione russa e il Libano. In collaborazione con la Dda di Roma (Direzione distrettuale antimafia) aveva indagato su un grosso giro di riciclaggio di denaro da parte di alcune famiglie corleonesi nell’Europa orientale ed era stato per questo minacciato di morte tanto che aveva dovuto vivere sotto scorta fino all’arresto dei responsabili.