BOZZOLO – Una cerimonia intensa e solenne, quella di oggi pomeriggio a Bozzolo, nella messa per l’anniversario della morte di don Primo Mazzolari. A concelebrarla i vescovi Pierantonio Tremolada di Brescia e Antonio Napolioni di Cremona, in un momento ecclesiale che è divenuto anche preghiera corale per Papa Francesco, nel solco di un’eredità condivisa. Durante l’omelia, il vescovo Tremolada ha proposto un’ampia riflessione spirituale in cui ha accostato, con rispetto e profondità, le figure di don Primo Mazzolari e Papa Francesco: entrambi testimoni inquieti del Vangelo, segnati da un amore radicale per Cristo e da una passione per gli ultimi che ha saputo sfidare le consuetudini della Chiesa, per riportarla al cuore della sua missione.
Nel confronto tra questi due personaggi emergono evidenti affinità spirituali e pastorali, non semplici coincidenze biografiche, ma autentiche convergenze di visione. Entrambi hanno concepito la Chiesa non come fortezza da difendere, ma come casa aperta, povera per i poveri, vicina ai margini. Don Mazzolari parlava di una Chiesa “di tutti e particolarmente dei poveri”, anticipando quello che sarebbe divenuto uno dei cardini del pontificato di Papa Francesco. Per entrambi, la povertà non è un tema sociale, ma una categoria teologica: i poveri sono il volto di Cristo, la loro presenza è la salvezza della Chiesa.
La misericordia è stata l’altro asse portante. Don Primo, sacerdote negli anni duri della guerra e del dopoguerra, sapeva che la Chiesa non può limitarsi a giudicare ma deve accompagnare. Lo diceva nei suoi scritti, lo viveva nell’ascolto di chi aveva sbagliato, nella prossimità a chi era stato escluso. Francesco ha fatto della misericordia il centro del suo pontificato, con parole e gesti dirompenti: pensiamo alla lavanda dei piedi nelle carceri, alla vicinanza ai detenuti, agli esclusi, agli scartati. Entrambi hanno rifiutato una giustizia sorda e amministrativa, per affermare che «la misericordia è nelle mani di tutti».
Don Primo, uomo del suo tempo, attraversato da due guerre, maturò un profondo pacifismo evangelico: “Tu non uccidere” è diventato il grido di una coscienza che non si rassegna all’orrore. Papa Francesco ha raccolto quel testimone con forza: le sue parole contro le guerre, il commercio delle armi, l’indifferenza globale sono eco del medesimo spirito. Entrambi hanno denunciato con vigore il peccato di un mondo che investe nei conflitti invece che nella pace e nella giustizia.
Entrambi hanno anche voluto una Chiesa “in uscita”, capace di rischiare l’inciampo pur di essere fedele alla sua missione. Don Mazzolari lo diceva con una frase divenuta celebre: “A cosa serve avere le mani pulite se poi le tieni in tasca?”. Papa Francesco ha ripreso questo invito con l’icona della Chiesa che esce dalle sue sicurezze per incontrare la vita vera, nelle sue ferite e contraddizioni. Meglio una Chiesa incidentata che una Chiesa ammalata di autoreferenzialità.
Una profonda attenzione al mondo del lavoro e alla giustizia sociale ha unito entrambi, in modi diversi ma complementari. Don Primo ha dato voce ai contadini, agli operai, a chi lavorava senza dignità. Francesco ha denunciato il sistema economico che genera scarti, che umilia il lavoro umano, che arricchisce pochi a danno di molti. Non si tratta di ideologia, ma di Vangelo vissuto: “Qualunque cosa avete fatto al più piccolo dei miei fratelli…”.
Infine, entrambi hanno saputo dialogare con chi era lontano. Non come missionari che vogliono “convertire”, ma come fratelli che vogliono ascoltare. Mazzolari parlava ai non credenti come a “cuori retti”, e Papa Francesco ha cercato sempre il confronto con atei, agnostici, uomini e donne di altre fedi. La Chiesa che sognano – e in parte incarnano – non è quella del recinto, ma quella del largo, della misericordia, dell’incontro.
Sono “segni di contraddizione”, entrambi, sulla scia del Cristo crocifisso e risorto. E per questo il grazie, oggi, è rivolto anche a Papa Francesco: «Per quello che sei, stanco. Per l’amore che ci hai dato. E per quanto continuerai a voler bene alla tua Chiesa dal Cielo», ha detto monsignor Napolioni. Una preghiera commossa, che dal cuore di Bozzolo ha raggiunto Roma, e il cuore di un Papa che somiglia tanto al prete che visse e amò in quella terra di pianura.
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