Forte crescita della violenza su donne nel mantovano: 230 nei primi 6 mesi del ’23 contro le 245 del ’22

MANTOVA – In provincia di Mantova sono state 245 le donne vittime di violenza prese in carico nel 2022 e 230 nel primo semestre 2023, 52 i casi di accesso al Pronto Soccorso. Sono questi i dati preoccupanti relativi ai casi di maltrattamenti nel territorio virgiliano. Da qui l’iniziativa di potenziare gli interventi a favore delle donne vittime di violenza di genere e dei minori coinvolti, migliorando l’integrazione tra strutture ospedaliere, servizi sociosanitari territoriali e centri antiviolenza con il progetto “Violenza di Genere: formiamoci e fermiamola” sostenuto da Regione Lombardia, che vede Asst Mantova come capofila ed è realizzato in collaborazione con Centro Aiuto Alla Vita, Telefono Rosa, Cooperativa Centro Donne, M.I.A., Comune.

“Due sono i punti su cui lavorare – spiega il direttore generale di Asst Mantova, Mara Azzi – sensibilizzare e potenziare la rete. La violenza è un fenomeno che va affrontato a 360° perchè taglia trasversalmente la società, non ci sono distinzioni tra cultura o classe sociale, la violenza può colpire tutti. Quello che vogliamo fare con questo percorso è quello di non lasciare buchi, di avere una rete collegata. E poi diventa fondamentale sensibilizzare di più i medici di famiglia e i farmacisti che sono i primi che si accorgono di queste situazioni”.

“Il Comune di Mantova è l’ente capofila della rete antiviolenza – spiega Chiara Sortino, assessore alla famiglia – abbiamo un protocollo d’intesa che nel 2021 è stato integrato con le procedure operative in modo che la risposta sia univoca e non diversa a seconda di dove la donna si rivolge. Purtroppo manca ancora tanta consapevolezza nelle donne che ci sono tanti percorsi alternativi e tante vie di uscita”.

Pronto Soccorso di Mantova
Si punta al potenziamento del servizio dedicato alle vittime di violenza in Pronto Soccorso, migliorando sempre di più il riconoscimento dei primi segni fisici e psichici dei pazienti che giungono in triage, rendendo più fluido il percorso del paziente – adulto o pediatrico, di entrambi i generi – implementando le connessioni della rete intraospedaliera e anche extraospedaliera con le forze dell’ordine, i centri di accoglienza e i consultori. E’ già iniziata una sperimentazione che prevede la presenza e reperibilità di operatori e psicologi del Centro Aiuto alla Vita all’interno del Pronto Soccorso per migliorare la capacità di accoglienza e ritenzione.
” La violenza di genere rappresenta un’emergenza sempre più importante anche numericamente – spiega Massimo Amato, primario del Pronto Soccorso dell’Ospedale Carlo Poma di Mantova – quello che vediamo sempre più spesso sono persone che arrivano in Ps con segni di violenza fisica, ma anche psichica, ma non sempre dichiarata, per cui bisogna intercettarli anche quando loro non ne parlano. La cosa a cui dobbiamo stare attenti è che oggi non esiste e più un solo genere, ma sia donne che uomini che bambini possono essere vittime di violenza”.
“Spesso si lavora con donna dentro e chi l’ha picchiata fuori che aspetta – commenta il medico del Pronto Soccorso, Angela Furini –  e spesso tornano a casa insieme, nonostante noi abbiamo suggerito percorsi diversi, questo perchè spesso non hanno la consapevolezza e rifiutano le alternative, ma non possiamo obbligarle a prendere altre strade, quello che possiamo fare è solo segnalare nel verbale delle Forze dell’Ordine che avevamo indicato un altro tipo di percorso. Il Ps si ferma quindi, purtroppo, a fare una segnalazione, ma non dovrebbe esaurirsi tutto lì, il Ps dovrebbe essere un punto di inizio di un percorso più ampio. La violenza ha mille sfaccettature e la formazione degli operatori deve essere continua e trasversale per capire oltre al quadro clinico se ci sono altri problemi”.

Supporto territoriale
Sarà potenziata anche l’attività di supporto territoriale in collaborazione tra centri antiviolenza e consultori, come il Centro Aiuto alla Vita, il Centro Donne, Telefono Rosa e il Centro Movimento Incontro Ascolto del distretto Casalasco-Viadanese.

“Come servizi territoriali ci stiamo impegnando per garantire il passaggio dal momento ospedaliero al momento, in integrazione con i centri antiviolenza, del dopo le cure – commenta Stefano Pellizzardi responsabile dei consultori della provincia di Mantova – perchè è fondamentale la continuità, la donna deve essere supportata nel percorso successivo affinchè non si senta sola”.
“Stiamo già facendo numerose iniziative territoriali – spiega Paola Mantovani, assistente sociale consultorio di Viadana – sul territorio di Mantova il percorso Liberamente è dedicato a donne in fuoriuscita dalla violenza con o senza figli minori sono gruppi che affrontano tematiche di diverso genere per aiutare le donne a tornare nella normalità. Sul territorio di viadana, invece, corsi di formazione degli operatori che rafforzare le competenze e gestire in modo integrato le diverse situazioni che possono presentarsi. L’aspetto fondamentale è che da soli non si fa nulla. In fase di progettazione laboratori dedicati ai minori vittime di violenza, per rielaborazione del vissuto e poi lavoratori di arte terapia, Museoterapia, visite guidate a Palazzo Ducale tutti percorsi legati alla ripartenza della donna”.

Il convegno 
La struttura ha inoltre promosso un convegno che si terrà il 3 novembre al Mamu di Mantova (sala Ottagono) a partire dalle 9, allo scopo di istituire un confronto tra istituzioni ripercorrendo tutti i momenti della presa in carico della vittima di violenza domestica, in modo da comprendere i ruoli dei diversi attori e consolidare la rete di accoglienza. Si parlerà del percorso ospedaliero, di aspetti giuridici e medico-legali, di interventi territoriali. Il programma completo è pubblicato sul sito di Asst, sezione eventi.
Un ulteriore modo per mettere la rete in connessione cercando non solo di fermarsi alla denuncia, ma al dopo, a quando sarà necessario reintrodurre la vittima di violenza in una vita sociale, con autonomi economica e indipendenza.

I dati italiani
Secondo i dati ISTAT del 2007 690.000 donne italiane hanno dichiarato di aver subito violenze ripetute dal partner; il 62,4 per cento di queste donne ha dichiarato che i figli hanno assistito ad uno o più di questi episodi. In situazioni familiari violente, i bambini sperimentano esperienze sfavorevoli infantili (Felitti, 2001) ossia situazioni negative che influenzano negativamente l’ideale percorso evolutivo, sia a livello personale che relazionale.
Nel periodo pandemico, in particolare durante il lockdown, si è registrato un picco delle violenze contro le donne in ambito familiare. Una crescita testimoniata dalle chiamate ai numeri di emergenza (16.272 chiamate da vittime al 1522 nel 2021: +3,6 per cento sul 2020 e +88,2 per cento sul 2019), dai contatti ai centri antiviolenza e dai dati dei pronto soccorso. Il progetto Violenza di Genere: formiamoci e fermiamola prevede vari ambiti di attività. Partito lo scorso aprile si concluderà ad aprile 2024.

 

 

 

 

 

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