DESENZANO DEL GARDA – “È ora di finirla di definire intensivi i nostri allevamenti da latte. Invece di sostenerli perché cercano di soddisfare la domanda di materia prima vengono accusati ingiustamente. Devono, invece, essere chiamati produttivi”. Con queste parole il direttore generale del Consorzio di tutela, Stefano Berni difende gli allevamenti delle bovine da latte della filiera del Grana Padano e fa chiarezza sulla questione.
Proprio Berni sottolinea come nei prodotti Dop una parte prevalente dell’alimentazione zootecnica debba necessariamente derivare da materie prime coltivate nei campi aziendali. Per le bovine da latte che producono per il Grana Padano nella razione l’alimento principe è il silomais coltivato nell’azienda che produce anche la materia prima. “C’è, quindi, una correlazione strettissima – ha aggiunto il direttore generale – tra le superfici aziendali coltivate a mais e il numero di capi in stalla perché la mandria ha bisogno di alimenti prodotti sul territorio, come stabilisce anche lo stesso disciplinare di produzione. Se sono definiti intensivi gli allevamenti che hanno poco terreno a disposizione questo è esattamente l’opposto di quanto avviene nel caso di un allevamento della filiera del Grana Padano o anche del Parmigiano Reggiano”.
Berni contesta anche un’informazione inesatta diffusa in particolare da chi attribuisce in parte al settore zootecnico responsabilità nell’inquinamento atmosferico della pianura padana. “L’impatto ambientale degli allevamenti è di gran lunga inferiore rispetto a quanto viene raccontato da alcune associazioni che si definiscono animaliste – ribadisce il direttore generale del Consorzio di Tutela -. Tutto questo allarmismo, creato spesso solo per far notizia, risponde alla logica aberrante di chi vuol distruggere gli allevamenti zootecnici sostituendoli con la produzione di carne o di latte sintetici, ossia coltivati in laboratorio perché oggi rappresentano il business mondiale del futuro. Nel 2050 occorrerà infatti sfamare 9 miliardi di persone. Se gli allevamenti da latte nel nostro Paese non avessero queste dimensioni – aggiunge il direttore generale del Consorzio – non sarebbero in grado di svolgere un ruolo fondamentale nella produzione del cibo e assicurare un reddito. Di conseguenza non sarebbero in grado di rispondere all’esigenza di una sostenibilità anche economica che è compatibile con quella ambiental”.
Berni conclude poi evidenziando come le stalle che producono per il Grana Padano si sono assunte, inoltre, un grande impegno ambientale quando sono state coinvolte nel progetto comunitario Life Ttgg, terminato con la creazione del Software Ssdd, uno strumento utile per misurare e ridurre i consumi di risorse e, quindi, l’impatto ambientale. Sia gli allevamenti che mungono il latte, sia i caseifici che producono il Grana Padano, possono, oggi, utilizzare questo software.