Il fumo è associato a un rischio più elevato di insorgenza di sintomatologie gravi in caso di infezione da SARS-CoV-2. Lo conferma uno studio, pubblicato sul British Medical Journal Thorax, condotto dagli esperti del King’s College di Londra, che tra i fumatori hanno riscontrato il 14 per cento di probabilità in più di sviluppare febbre, tosse persistente e difficoltà respiratorie, e il 50 per cento in più di manifestare più di dieci sintomi contemporaneamente, tra cui tosse, febbre, perdita dell’olfatto, del gusto o dell’appetito, difficoltà respiratorie, dolori muscolari, affaticamento, disturbi intestinali o annebbiamento.
“Questo studio – afferma Mario Falchi, ricercatore capo e docente senior presso il King’s College di Londra – fornisce la prima prova conclusiva, basata sull’osservazione reale, del fatto che fumare rappresenti un rischio più elevato per la salute in seguito al contagio da Covid-19″.
Come rilanciato da numerose agenzie di stampa in Italia e nel resto d’Europa, il team ha analizzato i dati di 2,4 milioni di partecipanti che hanno scaricato e utilizzato l’app ZOE del King’s College di Londra, 220.135 dei quali, circa l’11 per cento, erano fumatori. Diversi studi precedenti suggerivano che l’abitudine del fumo fosse associata a una minore probabilità di contrarre il nuovo coronavirus e di manifestare sintomatologie gravi.
“Alcuni rapporti hanno suggerito un effetto protettivo del fumo sul rischio di Covid-19 – sostiene l’esperto – il che è stato piuttosto sconcertante, viste le nostre conoscenze dei danni che il tabacco può provocare all’organismo. Gli studi in quest’area, tuttavia, possono essere facilmente influenzati da pregiudizi nel campionamento, nella partecipazione e nelle risposte dei soggetti testati”.
“I nostri risultati mostrano chiaramente che i fumatori corrono un rischio maggiore di sviluppare un numero significativamente più elevato di sintomi associati al nuovo coronavirus”. I partecipanti hanno presentato vari dati sulla propria persona, oltre che sui sintomi sperimentati e sui risultati dei test effettuati”.
I dati riportati dagli stessi soggetti – aggiunge Claire Steves, ricercatrice capo, medico consulente e docente presso il King’s College di Londra – sono solitamente meno affidabili, ma nella fase che abbiamo analizzato, dal 24 marzo al 23 aprile 2020, la capacità di test potrebbe essere rappresentativa. I tassi di Covid-19 continuano a salire, per cui è fondamentale concentrare gli sforzi e fare il possibile per ridurre gli effetti della pandemia”.
Qualcuno aveva suggerito l’idea che la nicotina, mettendo a dura prova l’organismo e il sistema immunitario, potesse potenziare la risposta immunitaria nel caso di Covid-19. L’ipotesi derivava dalla valutazione dei dati per la Grecia, in cui erano stati registrati i valori meno elevati di decessi nonostante il numero di fumatori superiore alla media europei.
Ad oggi, nel paese ellenico, si contano meno di cinquemila morti e circa 133 mila casi, a fronte degli oltre 76 mila decessi e 1,1 milioni di contagi in Regno Unito. L‘Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato a giugno che il fumo poteva rappresentare un pericolo in caso di infezione da Covid-19, nonostante diversi studi sembrassero avvalorare la tesi di Hockney, uno dei quali, condotto su 90 mila pazienti, riscontrava una probabilità del 23 per cento inferiore nei fumatori di contrarre l’infezione.
Un team dell’University College di Londra ha inoltre esaminato 28 articoli, attestando che la percentuale di fumatori tra i pazienti ospedalieri era più bassa del previsto. Un lavoro condotto dagli esperti dell’Universita’ della California a Los Angeles ha utilizzato cellule staminali coltivate in laboratorio, scoprendo che il fumo può triplicare il numero di cellule infettate dal coronavirus, impedendo alle molecole chiave del sistema immunitario di funzionare correttamente.
“Il fumo rappresenta sicuramente un pericolo per la salute sotto diversi punti di vista – conclude Brigitte Gomperts, dell’UCLA – riducendo le difese naturali e facilitando l’ingresso degli agenti patogeni nell’organismo. Ora sappiamo che SARS-CoV-2 non rappresenta affatto un’eccezione”.