Mantova saluta Rodolfo Signorini che diceva: “quando sarò nell’aldilà andrò a cercare Andrea Mantegna”

MANTOVA – Tanta gente in Sant’Andrea, per dare l’ultimo saluto a Rodolfo Signorini, scomparso il 7 dicembre, oltre ai familiari e agli amici, c’erano anche molti rappresentanti del mondo istituzionale e culturale mantovano. In prima fila, la famiglia: la moglie Laura, i figli Matteo con Anna e Andrea con Federica, i nipoti, la sorella, parenti e amici tutti stretti nell’ultimo abbraccio a una persona che ha lasciato un segno indelebile in tutti coloro che lo hanno conosciuto.

A rappresentare il Comune di Mantova, il presidente del Consiglio Comunale, Massimo Allegretti. “La città credo che debba molto a Rodolfo Signorini, un uomo di cultura che è un deposito stratificato della memoria mantovana, ma non solo della storia contemporanea, anche di quella medioevale e rinascimentale. Signorini era un vulcano di iniziative, una dietro l’altra. Io ho avuto modo di conoscerlo durante il mandato, aveva mille richieste, ma più che legittime. Mi ricordo quando, insieme, avevamo ‘scoperto’ una lapide funeraria in vicolo Di Bagno, nel quartiere di Cittadella, a ridosso di un condominio. Lui aveva fatto subito una ricerca e aveva scoperto chi era stato sepolto lì e perché, ma anche l’epigrafe che è stata posta poco tempo fa in piazza Sordello. Signorini ha lottato fino alla fine per la memoria e per la cultura della sua città, ed è per questo che è un patrimonio di tutti.”

Tra i presenti c’erano anche Giovanni Pasetti, presidente della Fondazione Palazzo Te, e la Compagnia del Preziosissimo Sangue, di cui Signorini faceva parte, schierata in forze, con in prima fila il Priore Rosanna Golinelli, Giordano Fermi, ex direttore e presidente del Conservatorio “Campiani”, l’ex sindaco avvocato Sergio GenovesiSandro Signorini, presidente del Circolo “La Rovere”.

A celebrare la funzione, don Massimiliano Cenzato, con don Stefano Peretti, a cui è stata affidata la lettura del Vangelo e l’Omelia. Con loro anche don Manzoli, don Pavesi, don Gobbi e padre Leone, frate francescano.

“Se l’aprirsi e lo sbocciare di una vita può attribuirsi al mistero della fecondità dell’amore, il suo concludersi costituisce l’interrogativo più drammatico che si ponga alla mente umana. Un interrogativo che Rodolfo ha affrontato con caparbia denuncia, com’era del resto del suo carattere. Noi fatichiamo ad accettare i limiti che segnano l’esistenza umana. Così è stato anche per Rodolfo”, è iniziata così l’Omelia di don Peretti. “Rodolfo non ha mai nascosto la sua fede, non se n’è mai vergognato. Come direbbe Manzoni, non ha mai tradito il santo vero. La sua unica preoccupazione era quella di arrivare alla porta dell’eternità munito dei conforti religiosi. Voleva presentarsi in regola davanti a Dio, cioè in pace con tutto, confessato e comunicando come aveva appreso dal catechismo, in grazia di Dio, e me lo ripeteva spesso. Più volte, specialmente negli ultimi mesi, mi raccomandò che, nel momento in cui avessi visto che la fine si avvicinava, avrei dovuto senza esitazione amministrare l’estrema unzione. Questo è vivere da cristiano. Cari fratelli e sorelle, credo che questa fede sia l’ultimo e più importante testamento scientifico che il professor Rodolfo Signorini lascia ai suoi amici e alla sua città. Nulla può separarci dall’amore di Cristo.”

“Spesso Rodolfo mi chiedeva come sarebbe stata l’eternità di Dio”, ha concluso don Peretti. “Quando io provocatoriamente rispondevo che non disponevo di notizie di prima mano sulla situazione nel Regno dei Cieli, lui un po’ si irritava. Ma poi, con il suo tipico sorriso, ribadiva che se l’eternità non fosse che un istante nell’estasi di Dio, egli avrebbe avuto un sacco di tempo per i suoi studi e le sue pubblicazioni. È stato così che Rodolfo è stato in grado anche di vincere la paura della morte.”

Prima dell’ultimo saluto, è stato il figlio Andrea a prendere la parola per ricordare il papà: “Caro papà, oggi è un giorno importante. È il giorno del passaggio. La tua è stata una vita in cui ti sei immerso con immensa passione, da sempre. Passione per la letteratura, passione per le lettere antiche, per l’insegnamento letterario nelle scuole. Professore stimatissimo, amato in Italia e in diverse parti del mondo, per le tue minuziose e attente ricerche storiche negli archivi di Stato e nelle biblioteche più rinomate. Ti sei appassionato alla magnificenza delle opere di Andrea Mantegna, che definivi il maestro che ti ha fatto innamorare della Camera Picta, senza dimenticare Giulio Romano e la Sala di Amore e Psiche, affreschi che tu volevi vedere e rivedere infinite volte per scoprire e capire ogni piccolo particolare.
Caro papà, dicevi che era il Quattrocento il periodo storico in cui avresti voluto vivere. Lontano dai computer e dalla tecnologia moderna. Dicevi che nel momento in cui tu avessi lasciato questo mondo, saresti andato subito a cercare per le vie del cielo il tuo maestro, per interrogarlo da buon professore e per chiedergli se tutto ciò che hai scoperto su di lui fosse corretto. Voglio immaginarti così, a dialogare con Andrea Mantegna e magari a progettare con lui una nuova Camera Picta, ma ti immagino anche a conversare di arte e cultura con tutti i poeti e artisti che tanto amavi: Don Teofilo Folengo, Dante Alighieri e Virgilio.
Con molta umiltà voglio concludere questo tuo ricordo con una citazione in latino, come amavi fare tu nelle tue lezioni, come scrisse Virgilio nelle Bucoliche: ‘Omnia vincit amor et nos cedamus amori’ (L’amore vince su tutto e noi cediamo all’amore). Grazie a tutti voi per essere venuti qui oggi.”

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