MANTOVA – “La vita delle persone la possiamo paragonare a un iceberg. Una parte è visibile e nota a molti, ma la massima parte della loro vita e personalità rimane invisibile e nascosta. Per costruire una personalità matura servono entrambe le esperienze: l’essere visti e riconosciuti, il rimanere avvolti in un velo di discrezione e mistero. Alcuni passaggi della vita consentono all’iceberg di emergere un poco di più e vengono a galla alcuni tra gli aspetti più significativi della biografia di un uomo. Uno di questi è sicuramente il momento della morte, specie quando chi se ne va è carico di anni, di incontri, di memorie.
In questi giorni di congedo dal vescovo Egidio raccolgo testimonianze e sentimenti che ne arricchiscono il profilo e la conoscenza, specie per chi, come me, lo ha incontrato nell’ultima fase della vita e del ministero. Mons. Egidio giungeva a Mantova come successore del vescovo Carlo Ferrari dopo trent’anni di lavoro a Roma, prima all’Azione Cattolica e poi alla Conferenza Episcopale Italiana. Pare abbia messo del suo nella stesura di un documento del 1981, che sembra scritto per l’oggi: La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, in cui si intravedono alcuni aspetti tipici del suo modo di pensare e comprendere le situazioni. Tra l’altro si legge: «uscire dalla crisi è possibile se si decide di ripartire dagli ultimi, che sono il segno drammatico della crisi attuale… Il Paese non crescerà, se non insieme…».
Il periodo mantovano ha permesso a mons. Caporello di tradurre alcune delle convinzioni maturate negli anni romani. Erano anni di trasformazione dello stile pastorale del vescovo, più accessibile e senza formalismi. Infatti molti ricordano la sua cordialità, l’affabilità, il rispetto, l’interesse per valorizzare il contributo di molti, la pazienza nel costruire rapporti positivi anche con chi partiva da posizioni diverse dalle sue, l’attenzione alle persone e la capacità di trasmettere affetto e suscitare simpatia, grazie anche alla sua autoironia e al suo sano umorismo.
Negli ultimi anni alle Grazie continuava ad accogliere persone in difficoltà e, alla fine di ogni incontro, proponeva di pregare insieme e spesso lo faceva tenendo la mano di chi aveva accanto. Amava raccontare, come fanno gli anziani che cercano di fare sintesi del loro percorso, con il desiderio di chiudere in pareggio il conto della vita, essere in pace con tutti, trattenere solo il bene. E i ricordi più ricorrenti erano una sorta di esaltazione del bene condiviso con la Chiesa e la gente mantovana: primo fra tutti la Visita Apostolica di San Giovanni Paolo II nel IV centenario della morte di San Luigi Gonzaga (22-23 giugno 1991), ma anche i ricordi legati al Convegno dei cori parrocchiali nella solennità di Cristo Re e alla sua intensa Visita Pastorale a tutti gli angoli della Diocesi, attento al territorio e accettando di incontrare chiunque.
Amava ripetere: “avanti con fiducia e speranza sempre”. Raccogliamo con questi sentimenti la sua eredità.