Morte di Leonardo in piscina, 9 indagati: tra loro parroco, educatrici e bagnini

CANNETO S/O- TORRE DEI PICENARDI – È un’intera catena di responsabilità, omissioni e scelte discutibili quella che, secondo la Procura di Cremona, ha portato alla morte di Leonardo Xu, il bambino di dieci anni annegato il 18 giugno scorso nella piscina comunale di Torre de’ Picenardi, durante una gita del Grest “Toc Toc 2025” di Canneto sull’Oglio.
Nove le persone indagate per omicidio colposo in cooperazione: il parroco del paese, promotore e responsabile del centro estivo, la sua collaboratrice, due educatrici di una cooperativa sociale, una volontaria, tre bagnini, e la legale rappresentante della società concessionaria dell’impianto, la “Summertime sas”.

Una gita trasformata in tragedia

Quella che doveva essere una giornata di svago per circa 140 bambini e ragazzi si è trasformata in un dramma che ha scosso l’intera comunità. Leonardo, che non sapeva nuotare – come oltre trenta dei partecipanti, secondo gli accertamenti – si è tuffato nella vasca degli adulti poco dopo le 14. A notarlo è stato un amico più grande, che lo ha recuperato dal fondo, ormai privo di sensi. I tentativi di rianimarlo, prima sul posto e poi all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, sono stati inutili. Il piccolo è morto due giorni dopo. I genitori, fin da subito, avevano escluso l’ipotesi del malore, chiedendo verità su come fosse possibile che un bambino non in grado di nuotare fosse finito in acqua senza che nessuno se ne accorgesse.

Omissioni, carenze organizzative e vigilanza assente

Dalle indagini coordinate dal pm Andrea Figoni, emerge un quadro di gravi lacune nella gestione della gita. Gli inquirenti parlano di mancata compartimentazione delle vasche, di assenza di controlli sui non nuotatori, e di personale insufficiente o inadeguatamente formato. Il parroco e la collaboratrice, secondo la Procura, avrebbero scelto un impianto inadeguato, omettendo di comunicare chi tra i bambini non sapeva nuotare e senza impartire direttive chiare agli accompagnatori. Tra questi ultimi, figura anche un numero rilevante di giovani animatori, ritenuti non idonei a garantire la sicurezza dei più piccoli. La vigilanza, in molti casi, era affidata “a cascata” ai ragazzi più grandi. Le due educatrici e la volontaria avrebbero omesso di sorvegliare il gruppo e di informare i bagnini della situazione, mentre questi ultimi, pur presenti a bordo vasca, non si sarebbero accorti di nulla fino a tragedia avvenuta. Un terzo bagnino, minorenne, si trovava al bar al momento dell’incidente. La società che gestiva l’impianto è sotto accusa per la mancata verifica delle condizioni di sicurezza: l’acqua nella zona dove è stato trovato Leonardo risultava più profonda di quanto indicato — 150 cm anziché 140, secondo i rilievi tecnici. Un dettaglio che, secondo il pm, ha avuto un’incidenza diretta sulla morte del bambino, alto 1,50 ma con una distanza tra talloni e narici di 131 cm: «Magari, in punta di piedi, avrebbe potuto salvarsi», si legge nelle carte.

Le difese

L’avvocato Cesare Grazioli, che assiste i tre bagnini e la rappresentante della società, ha dichiarato: «Siamo rispettosi del dolore della famiglia, ma vogliamo esaminare a fondo il fascicolo. Ogni posizione andrà valutata singolarmente. Ci riserviamo di presentare memorie difensive o chiedere interrogatori». I genitori di Leonardo, assistiti dagli avvocati Fabio Madella e Alberto Paci, continuano a chiedere giustizia e verità: per loro, quel tuffo in una vasca sbagliata è il risultato di una lunga catena di disattenzioni che potevano – e dovevano – essere evitate.