MANTOVA – Sono passati 40 anni dalla morte violenta del missionario mantovano Padre Tullio Favali e la Diocesi si avvia a ricordare il sacerdote, che era nato il 10 dicembre 1946 a Sacchetta di Sustinente, ucciso a soli 38 anni nel villaggio de La Esperanza (Tulunan, isola di Mindanau, sud delle Filipppine), l’11 aprile 1985.
Venerdì 11 aprile alle ore 21.00 si terrà una Via Crucis sull’argine a Sacchetta di Sustinente, presieduta dal vescovo Marco Busca, con letture di brani tratti dalle lettere di padre Tullio. Domenica 13 aprile alle ore 17.30 nella chiesa parrocchiale di Sacchetta di Sustinente si terrà invece un concerto con lettura di testi e testimonianze in memoria di padre Tullio Favali. Inoltre il Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere) propone a Milano uno spettacolo sulla vita di padre Tullio Favali, “Questa vita che non possiedo”, martedì 1° aprile alle ore 21.00 al Teatro Pime – Via Mosè Bianchi, Milano (testi di p. Gianni Criveller, adattamento e drammaturgia di Filippo Tampieri). Per l’occasione la parrocchia di Sustinente organizza un pullman per andare a Milano ad assistere allo spettacolo.
CHI ERA PADRE TULLIO
Tullio entrò in seminario a Mantova in prima media. Trascorre gli anni dell’adolescenza frequentando il ginnasio ed il liceo ma alla vigilia del suddiaconato decide di non proseguire per l’ordinazione sacerdotale. Trascorre gli anni ’70 in atteggiamento di ricerca, affrontando una vita fatta di quotidianità ed essenzialità, vicino agli uomini della vita comune: militare e poi lavoratore, consegue il diploma di geometra. Ma alla fine la sua scelta si presenta radicale: prete missionario.
Viene accolto nel Seminario Teologico del Pime dove, ormai trentenne, si rende disponibile a ripetere tutti gli studi teologici già quasi completati nel seminario di Mantova.
Il 6 giugno 1981 viene ordinato sacerdote per il Pime, all’età di 35 anni. I progetti per la destinazione prendono la direzione delle Filippine, dove arriva l’11 novembre del 1983. Qui trova una situazione terribile di oppressione, ingiustizia, violenza e paura a causa di una guerra civile per il possesso delle terre.
L’AGGUATO MORTALE
La mattina dell’11 aprile 1985 nella casa parrocchiale di Tulunan, nella diocesi di Kidapawan, qualcuno si presenta a chiamare il padre per prestare assistenza spirituale ad un morente nel villaggio di “La Esperanza”. Padre Tullio parte immediatamente con la sua motocicletta ed entra nella casa dove c’èun uomo ferito. Si sentono spari all’intorno e, uscito dalla casa, padre Tullio trova l’incrocio presidiato da una banda di uomini armati, uno dei quali al grido ingiurioso del capo lo fredda con una raffica di colpi. Più tardi si viene a sapere che tra i vari gruppi di rivoltosi e di indipendentisti, i killer di padre Tullio avevano preparato un piano per colpire la comunità cristiana. L’imboscata in realtà era destinata a padre Peter Geremia, parroco di Tulunan, da tempo nel mirino dei sicari, come scrisse padre Peter stesso in una lettera indirizzata ai familiari di padre Tullio.
A seguito del martirio di padre Tullio, umile, semplice, gioioso servitore del piano di Dio, si diffusero a macchia d’olio le manifestazioni pacifiche di cristiani, di poveri e di popolo che contribuirono in maniera determinante al processo di destituzione del dittatore Marcos e alla svolta democratica che insediò Cory Aquino.
“Vivere a fianco della gente e dare priorità alla persona umana che va accolta come tale, va rispettata e amata, perché mi rivela il volto di Cristo”, aveva scritto Padre Favali all’inizio della sua missione e coerente a questo impegno ha vissuto. A testimoniarlo furono anche le oltre tremila persone che parteciparono al suo funerale, dopo il quale le spoglie mortali furono portate nel cimitero di Balindog dove tutt’oggi riposano
MARTIRE DEL ‘900
Padre Tullio Favali è considerato un martire del ‘900. A spiegare il perchè, sul sito della diocesi di Mantova, è don Luigi Caramaschi, per molti anni missionario in Brasile e attualmente referente dell’Equipe diocesana per le relazioni missionarie tra le Chiese.
“Nella vasta esperienza dei missionari cristiani nel mondo e nei contesti delle Chiese sorelle in terre di povertà e di oppressione, di ingiustizie e di conflitti, in terre dove il Vangelo di Gesù spinge con urgenza a portare “il lieto annuncio della liberazione”, molto di frequente il dono della vita si identifica con lo spargimento del sangue. Gli Istituti missionari e le Conferenze episcopali di ogni parte del mondo danno testimonianza delle tante sorelle e dei tanti fratelli laici e religiosi che in varie circostanze vengono uccisi per il vangelo. Ogni anno viene presentato l’elenco dei missionari martiri che hanno dato la vita nelle Chiese particolari di tutto il mondo. Il dicastero per l’Evangelizzazione dei popoli accompagna con attenzione le loro vicende. Nel Venerdì Santo del Giubileo dell’anno 2000, durante la Via Crucis al Colosseo, papa Giovanni Paolo II rese pubblici i nomi dei missionari martiri del secolo che era appena terminato: in quell’evento il nome di padre Tullio Favali – insieme a quello dell’altro mantovano padre Maurizio Maraglio – è stato incluso nel martirologio del Ventesimo secolo” dichiara don Caramaschi.