BRUXELLES – Luce verde dal Consiglio Europeo per il pacchetto complessivo da 1.800 miliardi di euro di aiuti agli stati per superare la crisi del Covid. L’accordo dovrà essere ratificato dai parlamenti locali degli stati membri e dall’Europarlamento: presumibilmente il tutto si concluderà entro la fine dell’anno. Misure fatte in due filoni: il bilancio pluriennale Ue 2021-2028 (1.074 miliardi) e il cosiddetto Recovery fund (750), che avranno il compito di spingere la ripresa economica europea. Ma quali sono i dettagli di questa operazione? Il Recovery fund vero e proprio, dicevamo, vale 750 miliardi. Di questi 390 sono sussidi diretti, 360 sono prestiti con garanzia dell’Unione Europea, a tassi molto favorevoli. Per l’italia ci saranno complessivamente 209 miliardi: 82 di sussidi e 127 di prestiti. Ma da dove verranno questi soldi? I 750 miliardi (672 per la ripresa e 78 per piani specifici) verranno reperiti sui mercati, dunque un debito comune europeo, per la prima volta garantito congiuntamente dagli stati membri. Le risorse, poi, verranno allocate in base alle necessità della crisi Covid: a beneficiarne per buona parte saranno paesi come l’Italia, la Polonia e la Spagna, che dalle proiezioni avranno una perdita di Pil maggiore rispetto agli altri stati. Si terrà conto nel primo periodo del livello di disoccupazione nei quattro anni precedenti il 2020, in seguito si valuterà la caduta reale del Pil nel 2020 e 2021. Le risorse arriveranno tra il 2021 e il 2023: nei primi due anni dovrà essere utilizzato il 70%, il 30% nel 2023. L’erogazione sarà a rate, in base alle riforme effettivamente realizzate dagli stati. Il rimborso dei crediti inizierà nel 2027 per terminare nel 2058.
IL “FRENO D’EMERGENZA”
L’accordo è stato possibile anche dalla concessione del cosiddetto “freno d’emergenza” ai cosiddetti “frugali” (l’esempio più famoso, l’Olanda di Mark Rutte, ma anche Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia) per deferire i paesi (su segnalazione di altri membri) che non rispettano quanto promesso a livello di riforme. Per ottenere i fondi, infatti i singoli paesi devono presentare piani in armonia con alcune indicazioni della Commissione. Non sono ancora però state definite con certezza le modalità di questo meccanismo. Di certo gli Stati dovranno accettare i piani di riforma presentati da ogni singolo membro con maggioranza qualificata. Il “freno” dovrebbe, però, essere sottoposto al Consiglio Ue, che notoriamente delibera all’unanimità, qualora qualche stato membro avesse perplessità e rilievi da fare. Dunque teoricamente ci sarebbe un diritto di “veto”, che potrebbe rallentare l’erogazione dei fondi di almeno tre mesi.
Comments are closed.