PEGOGNAGA – Villa Galvagnina alla malora? No. Qualcuno in passato se l’era presa a cuore. Negli anni ’80 Federico Merli, imprenditore edile pegognaghese, esponente della Confederazione Nazionale Artigiani, vi organizzò una scuola di restauro. Negli anni ’90, l’assessore alla cultura di Pegognaga Gianni Semeghini, ne propose l’acquisto in comproprietà tra i comuni di Moglia, Pegognaga e Mantova. Quest’ultimo rimase proprietario unico. Nel 2017 si interessò l’assessore alla cultura Vanni Marchetti, sortendo l’interesse del comunicatore bresciano Fausto Corini, fondatore dell’associazione “Save Galvagnina”. Nell’ottobre del 2019 é il parlamentare Marco Carra a smuovere le acque sollecitando lo stanziamento di 6.300.000 euro presso la Regione Lombardia, confermati da Sandro Martinelli, assessore all’urbanista di Mantova. Per il villino pare la volta buona. La burocrazia, però, non ha mai fretta. Per di più a darle una mano é sopraggiunto Covid-19. A questo punto legittimo il timore che, a causa della nuova pesante crisi economica innescata dal virus, i milioni stanziati vengano deviati verso priorità più urgenti. Ma perché in tanti di buona volontà hanno cercato di rimettere in sesto il villino senza riuscirci? La questione di base é la destinazione d’uso dell’immobile. Per assurdo quando la villa, prima di essere acquistata dal Comune di Mantova, nel ruolo di proprietà privata era fruita come abitazione, gli inquilini succedutisi, pur con interventi deturpanti, quali la sovrapposizione d’intonaci per altro a più strati ai bellissimi affreschi, hanno mantenuto in vita lo stabile, involontariamente preservandone l’integrità valoriale. Circa la destinazione d’uso, per “Save Galvagnina” «L’idea é quella – disse Corini – di creare un polo dove i giovani, con le loro idee creative, siano protagonisti. Oltre a creare una base comune di supporto per le informazioni, il nostro progetto vuole stimolare l’interazione trasversale fra i giovani, le loro idee, il territorio e le realtà operative». Il che significa crearvi intorno altre strutture, come parcheggi, campi da tennis, bar, attrazioni varie, giacché Galvagnina ne é totalmente priva ed é molto decentrata dalle principali vie di comunicazione. Molto più concretizzabile sarebbe stato invece l’obiettivo che si proponeva Federico Merli nel 1986. Il cui progetto avrebbe assicurato la continuità d’uso dell’immobile e quindi la necessaria e sopratutto adeguata manutenzione. Merli aveva pensato di organizzare, tramite Cna corsi di restauro. «Era epoca in cui l’attività edilizia si era fermata, perché il mercato, in ragione dell’eccesso di offerta, ristagnava. Come impresa edile quindi ci siamo dedicati ad interventi manutentivi, con prevalente tendenza alla demolizione. Sennonché abbiamo costato che proprio in questo settore diversi casi, in un primo tempo destinati alla demolizione, si prestavano invece al recupero. Rendendoci conto che sotto quest’aspetto necessitavamo di aggiornamento professionale, ecco l’idea di creare un corso specifico per interventi di restauro strutturale, tralasciando per il momento quello artistico».
Ottenuto l’appoggio di CNA, Merli si era rivolto a Giuseppe Bonora, presidente Centro Formazione Professionale della Regione, che subito coinvolse vari professionisti, coordinati dall’architetto Roberto Soggia della Sopraintendenza alle Belle Arti: l’architetto Iacovelli, funzionario della Sopraintendenza di Brescia, che controllava impasti e procedure, l’ing. Luciano Battù che seguiva la parte strutturale, l’artista Franco Bruno esperto dei colori. «Organizzata l’équipe di professionisti – racconta Merli – mancava la sede per il corso. In realtà la proposta di farlo a Villa Galvagnina non l’avevo preannunciata con la presentazione del progetto, perché l’assessore Luigi Cavicchioli puntava a tenere il corso in città. Siamo quindi partiti in sordina. Contattati una trentina di artigiani edili, associati al Comarte, nonché decoratori e falegnami, la partecipazione é stata entusiastica.
Abbiamo fatto prove di consolidamento della muratura, di consolidamento dei solai con le resine friliche e tutti i connettori, scialbature d’intonaco con calce addolcita per non interferire sugli affreschi, che per altro non abbiamo nemmeno sfiorato perché non era il nostro compito. Ci competevano interventi sulla struttura, essendo noi muratori. 150 ore di corso per due anni consecutivi».
Dal corso nacque una proposta partita dallo stesso Comune di Mantova proprietario della Villa: concedere in comodato d’uso l’immobile per 99 anni a Comarte, organismo di imprenditori edili ed affini, che in collaborazione con Cna vi organizzasse una scuola professionale. Di contro, per Comarte, l’impegno di mettere in atto annualmente interventi strutturali conservativi dell’immobile. «Proposta non solo finalizzata alla salvaguardia della villa – sottolinea Merli – ma che avrebbe determinato un consistente valore aggiunto professionale al settore imprenditoriale edilizio. Inoltre era già pronto il progetto di collegare ai corsi strutturali anche quello di restauro architettonico e pittorico.
Insomma sarebbe nata una vera e propria scuola. Sennonché quando ho illustrato progetto e proposta ai colleghi associati di Comarte, benché in molti si fossero resi conto del beneficio professionale conseguito con i corsi, in maggioranza hanno nicchiato. Così l’idea non si é più concretizzata». Ora Merli ripropone il suo progetto, non foss’altro perché l’unico che può assicurare un futuro al Villa Galvagnina e un futuro alla miriade di piccoli imprenditori edile che con la specializzazione a loro volta assicurano un futuro a monumenti, palazzi, ville pubbliche e costruzioni private di pregio, con il “sapere delle mani”, come Merli definisce la qualificazione professionale. Perciò l’istituzione di un Centro Ricerche per il Restauro Murario, al quale potrebbe essere abbinato anche quello Artistico, con sede nel Villino di Caccia dei Gonzaga, a Galvagnina. E’ di certo il progetto maggiormente percorribile tra tutti quelli proposti al Comune di Mantova, proprietario dell’immobile. Un progetto che offre oltretutto nuove prospettive occupazionali.
RICCARDO LONARDI