Aldo Cervi, da cattolico integralista a partigiano comunista

Ilaria Bernardelli, Adelmo Cervi e Elia Scanavini

PEGOGNAGA – «Non bisogna mitizzare il partigiano. Uno diventa partigiano perché non c’era altra scelta. C’è molta liturgia nel celebrare oggi i partigiani. Non erano degli eroi. Per la libertà e la giustizia, mio padre si è buttato. Quando ha capito, non ha esitato. Se non fosse finito in carcere a Gaeta avrebbe continuato ad essere cattolico praticante».
Ed invece Aldo Cervi, “detto Alcide”, colui che persuase gli altri sei fratelli più altri compagni a farsi partigiani, abbracciò gli ideali comunisti, perché «Le ingiustizie di questo mondo non si cambiano con le preghiere, ma con il fucile», rispose Aldo quando reincontrò il parroco di Campegine (Re), suo paese.
A presentarne la corposa biografia in una affollata sala civica Bombetti a Pegognaga, su invito di Elia Scanavini, presidente Anpi, e introdotto da Ilaria Bernardelli, è il figlio Adelmo Cervi, autore assieme a Giovanni Zucca, de “I miei sette padri”, riedizione de “Io che conosco il tuo cuore” edito da Piemme. Si presenta in ritardo di un’ora, Cervi, proveniente da Cremona dove ha presentato il libro, ma affascina l’uditorio con piccante ironia. Narra, con la tipica affabulazione che lo avvicina viepiù al popolo, del padre fervente cattolico, ma che, a causa del carcere a Gaeta in cui è stato confinato per tre anni, avendo sparato mentre era di guardia ad una polveriera durante il servizio militare ad un sottoufficiale che non ha risposto alla parola d’ordine. Ed è a Gaeta «piena di comunisti» che Aldo ne abbraccia “la dottrina rivoluzionaria”. Essendo avido di letture, approfondisce anche le proprie conoscenze in agricoltura. Ritornato a casa opera su due fronti. Su quello politico, aggregando fratelli e conoscenti in gruppo antifascista, trasformandolo in banda partigiana. Su quello agricolo, ammodernando le coltivazioni. «La stalla – rimarca Adelmo – era il luogo delle aggregazioni. Per i contadini era più facile la clandestinità nelle famiglie numerose, senza andare in clandestinità». Dopodiché l’autore non s’addentra oltre il contenuto del libro, ma prosegue esternando le personali idee sociopolitiche. Cresciuto con l’ideale comunista dice «Ero integralista. Aspettavamo che passasse il prete, per bestemmiargli dietro. Ma non è offendendo qualcuno che la pensa in modo diverso, per dimostrare d’essere dalla parte della ragione. E’ un errore essere integralisti. Stalin, Pol-Pot e Mao ci hanno rovinato. Hanno rovinato i nostri ideali. Non si può essere sempre uno contro l’altro». Non accetta però «quel puttaniere miliardario che ci ha governato». Infine i giovani si conquistano insegnando loro la Costituzione italiana.

Riccardo Lonardi

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