Dove il tempo si è fermato: le vecchie insegne di Mantova e le storie che raccontano

MANTOVA – In Piazza Marconi, sul palazzo all’angolo tra via Roma e Corso Umberto l’insegna luminosa del Cinzano ha brillato con orgoglio per anni, testimone silenziosa di una città in fermento. Poco più sotto, quelle di Valle, Savazzi e di altri negozi storici hanno scandito il ritmo del commercio mantovano. Dagli anni ’60 in poi, per circa quarant’anni, il centro della città è stato un mosaico di insegne luminose, molte delle quali avevano preso il posto di quelle più sobrie e artigianali che, per decenni, avevano definito il volto del capoluogo. Alcune di queste resistono ancora, sbiadite dal tempo, appese a facciate di palazzi, sotto i portici, agli angoli delle vie.

Non erano semplici targhe: erano la voce di un luogo, il segno distintivo che orientava chiunque camminasse per la città, trasformandosi in punti di riferimento per gli abitanti e per i viaggiatori di passaggio.
Alcune di queste insegne erano veri e propri gioielli artistici, realizzati da abili artigiani, pittori e scultori che sapevano infondere nei materiali un carattere unico. In un’epoca in cui la pubblicità era ancora un concetto lontano l’insegna diventava il primo e più potente strumento di comunicazione. La scelta del carattere tipografico, dei colori, delle decorazioni, tutto contribuiva a definire l’identità del luogo e della famiglia che lo gestiva.
Altre erano più semplici, dirette, essenziali, ma sempre efficaci: spesso il nome dell’attività era accompagnato da un simbolo o un’immagine che chiariva subito di cosa si trattasse, rendendole immediatamente riconoscibili anche a chi non sapeva leggere: un bicchiere di vino per un’osteria, un ferro di cavallo per un maniscalco, una bilancia per un droghiere, una tazza fumante per un caffè. Erano segni che parlavano a tutti, parte di un linguaggio visivo collettivo.

E dietro a ogni insegna c’era molto più di un’attività: c’erano storie, volti, famiglie. Ogni quartiere aveva i suoi punti di riferimento, e ogni bottega era un piccolo mondo, dove l’acquisto era un rituale quotidiano fatto di fiducia e conversazione.
Così è stato per secoli, nella Mantova delle 233 osterie che hanno attraversato i tempi, dalle locande gonzaghesche agli anni ’50 del secolo scorso, nelle drogherie che profumavano di spezie e che anticipavano i supermercati destinati a prenderne il posto, nei laboratori degli artigiani, dai maniscalchi ai falegnami, dai fabbri agli orologiai.

Ed è stato così anche in epoche più recenti, nella Mantova di quei negozi che sono diventati dei cult per i bambini e i ragazzi di qualche generazione fa: i giocattoli da Ferrari e Tenedini, i dischi da Paterlini, poi Expo Dischi, e più tardi al Club 33, i primi grandi magazzini come l’Upim e il Coin,

Foto di Gianni Vecchi “Sei di Mantova se…”

i primi vestiti di tendenza all’Old Jack o da Fiorucci. 
Oggi, molti di questi negozi e attività sono scomparsi e così le loro insegne. Poche sono sopravvissute, salvate dalla sensibilità di nuovi proprietari che le hanno mantenute, magari anche se l’attività odierna non ha più nulla a che fare con quella originaria. Guardarle è come sfogliare le pagine di un libro scritto sulle facciate della città, un racconto inciso nella memoria collettiva.

E così, passeggiando per Mantova, può accadere di imbattersi in un’insegna dimenticata dal tempo, sbiadita ma ancora lì, a vegliare silenziosa su una città che non vuole svanire. Non è solo un vecchio marchio, ma un pezzo di vita, un simbolo che custodisce storie di chi ha abitato, lavorato e sognato tra quelle strade. Sono frammenti di memoria incisi nei muri, tracce di una Mantova che continua a vivere nei suoi dettagli, aspettando solo che qualcuno si fermi a riscoprirla.

Nel video una carrellata di insegne di Mantova, molte ormai scomparse anche tra quelle degli ultimi decenni, e qualcuna invece che resiste ancora oggi.

Ringraziamo per alcune immagini del video lo scrittore e collezionista Sandro Signorini