Mantova – Platea gremita a Palazzo San Sebastiano con tanto di posti a sedere finiti per l’incontro con Erri De Luca a cui è stato riservato un vero e proprio bagno di folla.
E lui, lo scrittore napoletano non delude le attese con un lungo racconto su sé stesso, capace di toccare svariati argomenti senza mai andare fuori tema. Quale “libro aperto” migliore di uno scrittore? Dalla genesi (termine doveroso per uno studioso dell’ebraico più arcaico e dell’Antico Testamento come De Luca) del nome, con Erri che è una sorta di evoluzione italiana di Harry o, per usare le sue parole: “È un nome che mi sono dovuto ricavare per semplificazione», alla Roma delle baracche ai pali di castagno usati per puntellare gli edifici terremotati a Napoli, passando per le letture in pausa pranzo ai tempi in cui lavorava come operaio.
“Il me stesso in cui mi riconosco di più è il lettore; il tempo che uso per leggere è tempo salvato. Leggere mi da più felicità che scrivere”.
E poi gli anni sessanta con le loro speranze e “l’Ultima generazione veramente rivoluzionaria”, le ribellioni del settanta che lo hanno visto attivo ma senza mai sfociare nella parte più violenta di quel tempo, anni che hanno stimolato, probabilmente, anche il suo ultimo racconto, “Impossibile”. “Non amo parlare di ciò che scrivo – spiega -, preferisco parlare di quello che scriverò, altrimenti mi sembra di essere un venditore porta a porta». Risata facile, ma alla fine un po’ di sinossi del libro la regala. Interessante, ci mancherebbe, ma ancora di più è interessante la definizione che l’autore dà del termine impossibile: “L’impossibile capita continuamente, lo possiamo definire così finché non accade; in quel momento diventa inesorabile”