MANTOVA – La presenza dei milleottocento spettatori al Teatro del PalaUnical ha evidenziato da subito il clima di attesa: “il ritorno degli Elii” era un evento che i fedeli della band meneghina attendevano da cinque anni. Una liturgia pop sotto forma di spettacolo teatrale aperta dalle parole beffarde e ieratiche di Mangoni, che per due ore ha emozionato il pubblico mantovano.
I magnifici sette salgono sul palco di bianco vestiti con eleganza, ma riletta alla loro maniera, dissacrante: Elio, il maestro di cerimonie, si presenta in pantaloncini corti e reggicalze bene in vista. È il tour di “Mi Resta Un Solo Dente E Cerco Di Riavvitarlo” dove musica, cabaret e satira dissacrante diventano un tutt’uno.
La baraonda di Arriva Elio spunta direttamente dagli inizi degli Elii di metà anni Ottanta. Ed è subito La terra dei cachi: il successo del 1996, una critica pungente del passato che orienta la riflessione sul presente. Il complessino non ha di certo perso lo smalto e suona pulito e preciso, musicisti di gran classe mai autocompiaciuti né con l’autotune, come fanno notare dal palco in una delle innumerevoli gag della serata.
Un breve blues guidato dal bassista Faso racconta dell’esistenza di un supereroe giovanile che combatte i matusa e il governo, e il pubblico urla entusiasta. Parte l’epica introduzione di Supergiovane con la voce di Diego Abatantuono e con lei uno dei brani più amati: strofa, ritornello, strofa, sì, ma in cui i tempi e gli stacchi deragliano magistralmente. Il supereroe “interpretato” da Mangoni occupa la scena, canta, balla e continua la sua lotta contro i nemici della gioventù.
La storia dolceamara de Il vitello dai piedi di balsa è a suo modo struggente e apre una finestra musicale: Mangoni e Carmelo (Vittorio Cosma) inseriscono un frammento di Brividi la hit di Mahmood e Blanco. Con fare da divulgato re scientifico Faso spiega le fasi della trasformazione dell’uomo in un Servo della Gleba. Parte il brano omonimo ed il pubblico canta con la band, ride, si diverte e forse un po’ si riconosce nelle disavventure amorose del servo. Il politically correct resta fuori dal teatro perché gli EELST sono anni luce dalla comicità regressiva e vittimista; hanno sempre parlato chiaro e sboccato in modo iconoclasta (e punk), non di certo per un salto culturale all’indietro. E arriva il momento patriottico in cui il gruppo fa a pezzi con acume gli elementi tossici che dominano il senso comune: le “nostre donne”, gli “stranieri” e gli stereotipi su francesi, tedeschi e rumeni. Alla fine chi ne esce a pezzi è proprio la retorica tronfia e qualunquista che cresce nella “terra dei cachi”.
Parco Sempione entra in punta di piedi, come a voler essere una canzonetta e invece strofa dopo strofa rivela la sua forza nell’interpretazione della band e nel suo messaggio profondo.
Il vitello dai piedi di balsa (reprise) si rende necessario perché Faso sente di non avere capito il senso del brano: “l’orsetto e il vitello che fine hanno fatto?” chiede. “Ha vinto l’amore” risponde Elio. E dal boschetto della fantasia è tutto.
Il live si avvia verso la fine con la funambolica Born to be Abramo che spinge al massimo l’acceleratore in campo disco music, una cover biblica della hit di Patrick Hernandez; Mangoni ruba di nuovo la scena, ballando sul pezzo con lo stile preso in prestito da una Donna Summer.
Nell’immancabile bis è la volta di Tapparella: con l’intro di chitarra di Cesareo parte l’inno di migliaia di pre-adolescenze brufolose che dal vivo regala grandi emozioni. Il pubblico è in visibilio e parte il “Forza Panino” da stadio che accompagna da sempre il brano.
Luci accese, la band ringrazia e saluta il pubblico. Bentornati, Elii.
Emanuele Bellintani