Goffo, surreale, stralunato, tenero, a volte fuori dai gangheri: il personaggio comico di Renato Pozzetto è stato protagonista indiscusso negli anni ’70 e ’80. Tuttavia la sua brillante carriera comincia nel decennio precedente, quando giovanissimo comincia a comparire sulla scena cabarettistica milanese insieme all’amico della vita Cochi Ponzoni, formando il duo Cochi e Renato e regalandoci canzoni ironiche e ormai celebri.
Stile unico e divertentissimo quello del duo, spesso basato sull’assurdo e sul non-sense. Tifosissimo del Milan come Enzo Jannacci, Beppe Viola, Teo Teocoli, Massimo Boldi e Diego Abatantuono, amici che ruotavano attorno al Derby, ha spesso girato al cinema scene calcistiche.
Parallelamente alla carriera di intrattenimento, Pozzetto intraprende quella cinematografica. In occasione dei suoi “primi” 80 anni, compiuti lo scorso 14 luglio, la televisione lo ha celebrato con una valanga di film. E la carrellata non poteva che partire da “Il ragazzo di campagna”, pellicola del 1984 narrante le vicende dell’ingenuo contadino Artemio alle prese con la nuova vita in città, diventata subito un cult visto che era la prima rappresentazione satirica delle contraddizioni che esistevano nella Milano di allora e ancora esistono ai giorni nostri. Ma la grandezza di Renato Pozzetto non può rimanere circoscritta nel perimetro di Borgo Tre Case, frazione di Borgo Dieci case. La filmografia ufficiale parla di oltre 60 film. Non solo comici. Menzionarli tutti non è possibile, perciò ci limiteremo a scorrere i titoli che hanno accompagnato la nostra gioventù come “La patata bollente” (1979), “Mia moglie è una strega” (1980), “Nessuno è perfetto” (1981), “Culo e camicia” (1981), “La casa stragata” (1982), “Ricchi ricchissimi praticamente in mutande” (1982), “Un povero ricco” (1983), “Mani di fata” (1983), “Lui è peggio di me” (1984), “7 chili in sette giorni” (1986), “Noi uomini duri” (1987), “Infelici e contenti” (1992), “Ricky e Barabba” (1992).
Commedie in grado di trattare con leggerezza e divertimento temi come il classismo, il consumismo, l’omosessualità. A dispetto degli ultrà del politically correct. Perché in fondo «la vita l’è bela, basta avere l’ombrela».
Matteo Vincenzi