MANTOVA – Inflazione sui beni di consumo e sui generi alimentari, incrementi fiscali e dell’Imu: per le famiglie mantovane, negli ultimi 2 anni, un vero e proprio salasso. Che secondo i dati della Cgia di Mestre è costato una perdita di 6.537 euro circa per famiglia media nell’arco di tempo che va dal 2021 al 2023, nella nostra provincia.
In due anni i prezzi in media hanno avuto un’impennata del 13,7% nella nostra regione, dunque l’erosione del potere d’acquisto dei mantovani è stato piuttosto sensibile, anche se la Lombardia ha avuto aumenti più contenuti rispetto al resto d’Italia, specie se confrontati ad alcune regioni del Mezzogiorno. Mantova, dicevamo, ha avuto una perdita di potere d’acquisto pari a 6.537, lievemente maggiore alla media italiana (6.257 euro), piazzandosi al 37esimo posto in classifica. E, come afferma la Cgia, negli ultimi due anni l’inflazione è stata la “patrimoniale” più salata per i cittadini.
IMU, BOLLO E TUTTE LE ALTRE: LE PATRIMONIALI CI COSTANO 50 MILIARDI L’ANNO
Le patrimoniali ci costano quasi 50 miliardi l’anno. L’Ufficio studi della Cgia segnala che sebbene l’Imu sull’abitazione principale sia stata abolita nel 2013, le imposte patrimoniali che continuano a gravare sugli italiani garantiscono alle casse dello Stato quasi 50 miliardi di euro l’anno: per la precisione 49,8. Un importo, relativo al 2022, che valeva 2,6 punti di Pil. Un’incidenza che, rispetto al 1990, è addirittura raddoppiata. Complessivamente, fa sapere l’Ufficio studi della Cgia, questa tipologia di prelievo sui beni patrimoniali (siano essi mobili, immobili o finanziari) è composta da una decina di voci.
Gli analisti della Cgia indicano che l’Imu/Tasi (gettito nel 2022 pari a 22,7 miliardi di euro), l’Imposta di bollo (7,7 miliardi), il bollo auto (7,2 miliardi), l’Imposta di registro e sostitutiva (6,2 miliardi), il canone Rai-Tv (1,9 miliardi), l’Imposta ipotecaria (1,8 miliardi), l’Imposta sulle successioni e donazioni (1 miliardo), i diritti catastali (727 milioni di euro), l’Imposta sulle transazioni finanziarie (461 milioni) e l’Imposta su imbarcazioni e aeromobili (1 milione).
Il trend di crescita del prelievo riconducibile alle imposte patrimoniali in termini assoluti è stato spaventoso: se nel 1990 l’erario ebbe modo di incassare 9,1 miliardi di euro, nel 2000 il gettito ha raggiunto i 25,7 miliardi. Cinque anni dopo i soldi incassati sono saliti a 30,1 miliardi che nel 2015 sono arrivati a 48,4. Nell’ultimo anno in cui i dati sono disponibili, vale a dire il 2022, la riscossione ha toccato i 49,8 miliardi di euro.
L’Imu sull’abitazione principale non è stata abolita per tutti. I proprietari degli immobili di tipo signorile (categoria catastale A1), delle ville (A8) e dei castelli/palazzi (A9) continuano a pagarla: ci riferiamo a 68.720 unità immobiliari presenti in Italia che dall’applicazione dell’imposta consentono ai Comuni dove sono ubicati di incassare 80 milioni di euro (anno 2022). Al netto degli immobili della categoria catastale A9, i proprietari delle altre abitazioni di lusso (A1 e A8) versano per ogni unità mediamente poco meno di 3 mila euro l’anno.
CGIA: “LE TASSE STANNO RINCORRENDO LA SPESA: SERVE UN TAGLIO DELLA SPESA PUBBLICA IMPRODUTTIVA”
No ad una nuova patrimoniale sì, invece, al taglio della spesa improduttiva è quanto segnala la Cgia. Nei giorni scorsi alcuni autorevoli esponenti del mondo universitario hanno chiesto l’introduzione di una patrimoniale da applicare agli immobili o alla ricchezza finanziaria degli italiani, con l’obbiettivo di recuperare nuove risorse per fronteggiare con maggiore determinazione il cattivo stato di salute dei nostri conti pubblici. Anche alla luce di quanto riportato più sopra, l’Ufficio studi della CGIA esprime parere negativo all’introduzione di questa misura, non fosse altro perché di tasse (incluse le patrimoniali) ne paghiamo già troppe.
Ritenendo comunque indispensabile ridurre il deficit e, conseguentemente, il debito pubblico, sarebbe auspicabile secondo la Cgia, oltre a una seria lotta all’evasione fiscale, tagliare la spesa pubblica di parte corrente, “rispolverando” la cosiddetta spending review lanciata più di dieci anni fa dall’allora Governo presieduto dal prof. Mario Monti. Proposta, quest’ultima, che, purtroppo, sembra ormai essere caduta nel dimenticatoio. Di risparmio della spesa, anche attraverso l’efficientamento della nostra macchina pubblica, in ambito politico ormai non ne parla praticamente più nessuno.
Le tasse stanno, infine, ricorrendo la spesa per gli analisti dell’Ufficio Studi della Cgia. Al netto di quanto maturato dopo lo scoppio della crisi pandemica, dall’analisi dell’andamento della finanza pubblica tra il 2010 e il 2019 possiamo notare con buona approssimazione che le entrate fiscali sono cresciute al pari della spesa pubblica totale (vedi Graf. 3). Insomma, per non far saltare la tenuta dei conti pubblici, le prime hanno inseguito la seconda, con il risultato che la pressione fiscale in Italia ha ormai superato la soglia del 43 per cento. E’ chiaro che fino a quando non ridurremo la spesa, sarà difficile ipotizzare sia una diminuzione strutturale delle imposte sia una contrazione del debito pubblico. Certo per abbassare il rapporto debito/Pil potremmo aumentare ulteriormente le entrate, ma questo comporterebbe un ulteriore aumento del carico fiscale: cosa che, obbiettivamente, nessuno ne sente il bisogno, conclude la Cgia.