La Lombardia è la regione con il maggior numero assoluto di imprese guidate da donne, ma allo stesso tempo è penultima in Italia per incidenza percentuale sul totale delle aziende. Un paradosso che fotografa bene le contraddizioni dell’imprenditoria femminile nel nostro Paese, che pure può vantare un primato a livello europeo.
Secondo l’analisi dell’CGIA di Mestre, l’Italia è infatti prima nell’Unione Europea per numero di donne lavoratrici indipendenti: nel 2024 le partite Iva femminili hanno raggiunto quota 1,62 milioni, pari al 16% delle donne occupate, davanti a Francia, Germania e Spagna. Un dato record che però convive con un altro primato negativo: il tasso di occupazione femminile resta il più basso dell’UE, segno che l’autoimpiego supplisce spesso a carenze strutturali del mercato del lavoro.
La crescita continua anche nel 2025. Nei primi nove mesi dell’anno lo stock di imprese femminili ha toccato 1,68 milioni, in aumento del 2,7% rispetto allo stesso periodo del 2024. Un ritmo più che doppio rispetto a quello delle imprese guidate da uomini (+1,1%), pur restando le imprenditrici meno della metà dei colleghi maschi in termini assoluti.
Dal punto di vista settoriale, sette imprese femminili su dieci operano nei servizi e nel commercio. Il comparto con più aziende “in rosa” è proprio il commercio, seguito da agricoltura, servizi alla persona e alloggio-ristorazione. Ambiti che, oltre al valore economico, hanno un forte impatto sociale e occupazionale.
Un elemento chiave riguarda il lavoro: le donne imprenditrici tendono ad assumere più donne rispetto agli uomini. Un aspetto che rende l’imprenditoria femminile una leva strategica per aumentare l’occupazione.
Sul piano territoriale emerge un altro dato significativo. Il Mezzogiorno registra l’incidenza più alta di imprese femminili (24,3%), con Molise, Basilicata e Abruzzo ai vertici della classifica nazionale. La Lombardia, pur contando oltre 162 mila imprese guidate da donne, si ferma invece al 19,9%, davanti solo al Trentino-Alto Adige. Un segnale che nei territori economicamente più forti la presenza femminile nell’imprenditoria cresce meno in proporzione. Per la CGIA, il problema non è la mancanza di iniziativa, ma l’accesso alle risorse: credito più difficile, minore disponibilità di capitale di rischio, reti professionali più fragili e un carico di cura ancora sbilanciato. Ostacoli che producono imprese mediamente più piccole e meno capitalizzate, con una perdita di potenziale per l’intero sistema economico. Valorizzare davvero l’imprenditoria femminile, sottolinea lo studio, significa andare oltre interventi simbolici e puntare su politiche strutturali: strumenti finanziari dedicati, servizi di accompagnamento e soprattutto misure efficaci per la conciliazione tra lavoro e vita privata. Non politiche “per le donne”, ma scelte di crescita capaci di rafforzare occupazione, innovazione e coesione sociale.















