MANTOVA – 25 aprile 1945. Settantasei anni fa. Mi pongo davanti a questa data con la deferenza e il rispetto che si deve a chi ha dato la vita per arrivare a quel fatidico momento. Nella stesso tempo mi domando cosa rimane, cosa insegnare ai giovani oggi, così lontani dalle tragedie collettive che hanno caratterizzato le generazioni del 900. Lontani dalle generazioni (penso ai miei nonni) che raccontavano il proprio vissuto in prima persona, di uno dei periodi più tragici della storia d’Italia.
Per comprendere appieno il 25 aprile dobbiamo pensare al nostro Paese privato da 20 anni, delle libertà individuali, delle libertà politiche, e delle libertà civili. Con leggi razziste che disciplinavano l’allontanamento dalla vita pubblica, delle persone di “razza ebraica”. Alimentato da una costante propaganda bellicista e guerriera, che nascondeva l’impreparazione militare più profonda.
La dittatura fascista aveva, sul finire degli anni ‘30, abbracciato la scelta dell’alleanza con il nazismo. Un approdo naturale, già scritto nell’illiberalità del regime italiano.
È così che l’Italia entra in guerra. Nel 1940 Hitler sta fagocitando l’Europa e bisogna stargli a fianco per avere le briciole delle sue vittorie.
Ma la guerra non è un calcolo politico, non lo è mai. La guerra è sangue, è morte, è distruzione, un’altra generazione dovrà morire sui campi di battaglia. Dal deserto africano alla gelida steppa russa. Ma con il 1943 anche le fortune belliche del demone nazista volgono al termine. In Italia, quindi, la parola d’ordine diventa una sola: “dobbiamo sganciarci” dall’alleato tedesco. Il Duce vorrebbe ma non ce la fa ad affrontare il dittatore germanico, che è feroce, spietato. Sganciarsi poi ….. sarebbe come rinnegare la propria immagine di condottiero supremo di cui per anni si è nutrita la nazione, mistificando la realtà di una Italia ancora contadina, povera, e industrialmente arretrata.
Ci penseranno gli stessi fascisti ad esautorare il proprio Duce, gli stessi che l’hanno osannato fino a qualche tempo prima. Basta un normalissimo Ordine del Giorno perché vent’anni di dittatura crollino come un castello di carta.
Siamo al 25 luglio 1943.
Nel pomeriggio dello stesso giorno sarà il re a farlo arrestare e Badoglio a succedergli. Nessun fascista sparerà un colpo in difesa del Duce. Nessuno.
Il peggio deve ancora arrivare. Di li a poco la fuga del re e del Capo del governo con i più alti vertici militari, aprirà al collasso dell’intero Stato.
E’ questo lo spartiacque tra le due Italie che di lì a poco si affronteranno.
“Nel momento in cui il nazismo tenta di restaurare in Roma e in Italia il suo alleato fascista, i partiti antifascisti si costituiscono in Comitato di Liberazione Nazionale, per chiamare gli italiani alla lotta e alla resistenza per riconquistare all’Italia il posto che le compete nel consesso delle libere nazioni”.
E’ con queste parole che il 9 settembre nascerà il Comitato di Liberazione Nazionale, cui tutte le formazioni partigiane faranno capo.
Sarà guerra di liberazione e al contempo guerra civile.
Si combatterà tra italiani, tra fratelli. Dal settembre 1943 fino al 25 aprile 1945, data dell’insurrezione generale, la lotta tra i militi della Repubblica Sociale Italiana, lo stato fantoccio guidato da Mussolini, che si sostiene con l’occupazione militare tedesca, e le formazioni partigiane è cruenta. Ai partigiani catturati è riservata la tortura, l’impiccagione, o la fucilazione dopo processi sommari.
La morte di questi combattenti è spesso esibita. Sono centinaia le foto di partigiani uccisi nelle piazze, impiccati ai bastioni di casa, o appesi ai lampioni come nel caso dell’eccidio di Bassano del Grappa.
Ma questi grandi italiani che hanno scelto di combattere per costruire una società libera in cui tutti gli uomini possano dirsi uguali, riusciranno a vincere.
Vinceranno contro un nemico militarmente più forte, che fa dell’oppressione e dello stermino di interi popoli la sua principale ragione di vita.
E’ in questa guerra che la nostra Costituzione ha le sue radici più profonde.
Ed è importante ricordare che nella democrazia nata dopo la fine della guerra abbiano trovato ruolo e dignità civile anche coloro che questa democrazia non la volevano affatto.
Oggi il nostro pensiero deve andare ad una delle pagini più nobili della nostra storia.
Oggi il nostro pensiero deve sfiorare quegli uomini e quelle donne, appartenenti a tutte le età, e ad ogni classe sociale, consapevoli del dovere della libertà e del prezzo che essa, in momenti estremi, comporta.
Questa è stata l’Italia partigiana. A noi il dovere di tramandare e tenerla viva nella memoria e soprattutto nella coscienza civile di tutta l’Italia.
A voi giovani dico non dimenticate.
La passione e l’energia che vi deriva dall’età non disperdetela nella superficialità dilagante, nella stereotipizzazione dei comportamenti, non disperdetela nel rincorrere falsi feticci.
Noi abbiamo avuto la fortuna di crescere in una società libera, e questo non è stato un regalo, ma una conquista pagata con il sangue di chi ci ha preceduto.
Dobbiamo esserne degni.
E possiamo esserlo soltanto alimentando quei valori di tolleranza, giustizia sociale, solidarietà, convivenza civile, che sono alla base delle più avanzate democrazie del mondo.
Rifuggite la violenza, usate sempre la ragione, il dialogo, il confronto.
Settantasei anni fa, quel giorno di primavera, la più bella Italia metteva radici.
* Massimo Allegretti è presidente del Consiglio Comunale di Mantova