MANTOVA – “Su una capienza regolamentare di 106 detenuti, presso la Casa Circondariale di Mantova ne contiamo in media 150. A questo dato aggiungiamo la carenza di personale di polizia penitenziaria, una condizione che non agevola il lavoro, che viene svolto in condizioni gravose”. A dirlo è Stefania Ianulardo, funzionario giuridico pedagogico del carcere di via Poma, in occasione del convegno a Palazzo Soardi in cui vengono presentati i dati di associazione Antigone sulle condizioni della detenzione nelle carceri italiane con uno sguardo alla realtà mantovana.
Uno sguardo introdotto da Marina Baguzzi, presidente del Centro Solidarietà Carcere, che allinea il carcere di via Poma alla media nazionale. Una media che nelle parole della referente dell’associazione Antigone Valeria Verdolini assume connotati terrificanti: “la Lombardia è insieme alla Puglia la regione più sovraffollata nelle carceri con tassi tra il 150% e il 200%. In parallelo, le case circondariali italiane sono sempre più affollate (61.800 le persone attualmente incarcerate) per tutta una serie di motivi, tra i quali l’aumento della durata delle pene, che corrisponde a una risposta politica a forme di allarme sociale, i problemi sociali in aumento senza che il penale riesca a fornire soluzioni, l’aumento significativo di persone tossicodipendenti, l’affidamento al carcere della gestione della salute mentale con l’ingresso di persone con problematiche psichiatriche di varia natura”.
Che il carcere non sia spesso un luogo di redenzione, né un luogo sicuro o in grado di fornire prospettive edificanti lo dicono le 75 morti avvenute da inizio anno, cui si aggiungono i 7 suicidi di operatori che vi lavorano all’interno. Una chiave possono essere le misure alternative alla detenzione, e in tal senso a Mantova sono 16 i detenuti che escono dal carcere ogni giorno per andare a lavorare. “Come amministrazione comunale puntiamo molto sul far conoscere la giustizia riparativa – afferma l’assessore Alessandra Riccadonna – anche perché sono molti i reati per i quali si può accedere a questa forma, ma spesso i detenuti che ne avrebbero diritto restano in carcere perché non hanno un lavoro o una dimora fissa”.
Sulla possibilità di uscire dal carcere per lavorare e sulle difficoltà che si incontrano aveva lanciato un appello nei giorni scorsi anche la direttrice Metella Romana Pasquini Peruzzi, e a nome suo Stefania Ianulardo sottolinea che “abbiamo proficui rapporti di collaborazione con le cooperative del territorio, sono molte le realtà che collaborano con il carcere. Ma siamo sempre in cerca di nuove realtà datoriali oltre a quelle che lavorano con noi”.
Se da un lato il Comune di Mantova continua a promuovere iniziative che ospitano approfondimenti sul tema del carcere, della detenzione e di tutto ciò che vi gira attorno, compresa una nuova attività in collaborazione con Bibliofficina per portare la lettura (anche in gruppo) dentro le mura di via Poma, dall’altro Riccadonna esprime preoccupazione perché “la situazione andrà peggiorando con l’aumento delle forme di reato che sono state indette con il nuovo Ddl Sicurezza, che aumenta il numero di reati che prevedono la detenzione, con un ulteriore affollamento dei carceri e un peggioramento delle condizioni di vita dei detenuti”.
Un altro problema della casa circondariale mantovana è quello della sua vetustà strutturale, essendo ospitato in un edificio di inizio Novecento con tutte le criticità del caso. Ma le ristrutturazioni proseguono “e si sta lavorando molto – dice Ianulardo – per risanare una serie di ambienti, in particolare le camere detentive, con la sostituzione dei servizi igienici. Più in generale, insieme ad associazioni e volontari svolgiamo molte attività diversificate per compensare alle carenze della struttura”.