MANTOVA – 15 agosto, festa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria. Ecco le riflessioni del vescovo Marco Busca sul valore di questa giornata.
“Essere sul pezzo” è l’espressione che, forse più di ogni altra, viene utilizzata per indicare prontezza all’azione ed efficacia operativa. Valori riconosciuti e apprezzati in ambito professionale, lavorativo ed economico, che rappresentano però una concentrazione quasi esclusiva su un’unica attività, con un pericoloso restringimento dello spazio vitale a vantaggio di una sola area, che prende il sopravvento rispetto alle ricche e variegate sfere dell’esistenza. In questo modo subentra il rischio di un’atrofizzazione di molte delle dimensioni fondamentali e costitutive della persona e delle sue relazioni, che rimangono sottosviluppate per carenza di tempo, interesse e stimolazione. L’uomo è un essere poliedrico e multi-espressivo, mentre l’esasperato potenziamento dell’efficienza ci induce a rinunciare a numerose esperienze umanizzanti.
Non siamo fatti solo per lavorare e, per questo, la vacanza dovrebbe rappresentare un tempo liberato dalla tirannia del fare produttivo. Un tempo dedicato al recupero di quelle sfere esistenziali troppo spesso trascurate nel corso dell’ordinaria ferialità: affetti, emozioni, letture, immersione nella natura, racconti, ricordi, visite, viaggi e molto altro. A patto che anche la vacanza non diventi un tempo pieno di obiettivi, di appuntamenti, di cose da fare e di luoghi da visitare, trasformandosi in un’estensione della ricerca di quella performance autorealizzante che guida (e, spesso, schiavizza) parecchio del nostro agire ordinario.
Non a caso, molti si dichiarano insoddisfatti delle proprie ferie. Una percezione negativa che, forse, deriva dall’incapacità di staccare e di andare effettivamente in vacanza, liberando la mente e godendosi un vero riposo. L’abbandono alla noia creativa, infatti, può costituire un’esperienza promettente e rigenerante. Quando non è stato tutto dettagliatamente pianificato, ci si può permettere di godere delle cose semplici: una conversazione, una cena, una passeggiata, un po’ di arte, il ritorno nei luoghi amati. Condividere queste semplici uscite dalla routine con le persone importanti fa la differenza. In fondo, il vero riposo – più che dalla località e dalle condizioni meteorologiche – dipende dalla qualità delle relazioni. Vi sono relazioni che in sé stesse sono riposanti. Il tempo condiviso con le persone con cui possiamo essere semplicemente noi stessi è riposante: liberi dalla pressione di dover controllare ogni parola e azione, possiamo muoverci nella leggerezza e nell’autenticità che proviamo quando ci sentiamo accolti per quello che siamo e non secondo le convenzioni professionali e sociali. In questo, sono spesso i bambini a restituire agli adulti l’esperienza della spontaneità. Con il linguaggio del gioco li aiutano a ritrovare quella parte ludica, simpatica, creativa e festosa, che i più grandi raramente si concedono, presi dai ritmi veloci, dalle regole del successo, dall’ebbrezza comunicativa che sfocia in forme di maniacale dipendenza.
Nella Bibbia, Dio comanda di riposare, di interrompere le proprie attività, di alternarle e di prendere le distanze dall’opera delle proprie mani. È questo un correttivo anti-idolatrico. Esso mette al sicuro l’uomo dalla tentazione di conferire potere assoluto a qualcosa che è meno di Dio e che, alla fine, lo disumanizza. Il correttivo alla velocità – che mira a moltiplicare la quantità delle azioni – è il recupero dell’intensità, che desidera sentire le cose che accadono. I tempi di vacanza e di inattività sono necessari per esercitarci ad apprendere nuovamente a godere di quanto riceviamo in dono dalla vita.
Godere è un verbo umanissimo e al contempo divino. Chi non sa godere non riposa mai. Chi manca dell’esperienza del godimento per ciò che è, per le proprie attività e relazioni, facilmente oscilla tra gli eccessi della lamentela e dell’euforia. La natura umana riposa invece nella sobrietà, nella misura, nella trasformazione dei fatti feriali in opportunità di vita intensa. Occorre essere grandi dentro per godere di ogni piccola goccia di positività.
Nel Vangelo, Gesù invita gli affaticati a ristorarsi, proponendo sé stesso come l’autentico riposo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28). Come ci rivela l’esperienza del profeta Elia, lo Spirito è «il sussurro di una brezza leggera» (1Re 19,12), che distende, acquieta, ricompone, rischiara e armonizza. La preghiera – di cui tutti possiamo godere – è il respiro dello Spirito nell’anima. Si tratta di cercarlo nel silenzio e, spesso, lo si trova in una sola Parola. Niente è più stancante di un pensiero ripiegato nella preoccupazione di sé. Il vero riposo risiede nella dimenticanza e nel proposito di far riposare gli altri. Creare l’inedito e il fuori programma negli schemi della nostra prassi abituale è tutt’altro che impossibile. Per trasfigurare una giornata è sufficiente un momento di compagnia regalato a un anziano, una chiamata non dovuta per interessarsi dell’amico, un gesto gratuito verso chi non se l’aspetta, una parola non scontata che fa vibrare l’anima.
Nel frangente storico che ci troviamo a vivere, un’atmosfera pesante incombe sul mondo, con emozioni grigie e sentori di crisi in molti settori. In tali condizioni il cuore rischia di restringersi e, pertanto, occorre tornare alla sapienza di godere della vita; che non è il godersi la vita, quanto piuttosto esserne gli autori, non passivi, ma chiamati ad approfittare del tempo che ci è dato per trasformare ogni cosa in un incontro.
A tutti voi l’augurio di vivere in profondità la festa dell’Assunta e, allargando l’orizzonte a chi proviene da altre culture e appartenenze religiose, quello di un buon Ferragosto e di uno scorcio d’estate ricco di incontri che riempiono l’anima e la rigenerano nell’autentico riposo.