In tanti in Sant’Andrea per l’ultimo saluto a don Grandi. Il Vescovo Busca: “sapeva soffermarsi su ciò che davvero conta”

La chiesa mantovana piange don Gianni Grandi, parroco di San Giorgio Bigarello

MANTOVA – Tanta gente questa mattina nella basilica di Sant’Andrea ha voluto dare l’ultimo saluto al parroco di San Giorgio Bigarello don Gianni Grandi, morto lunedì scorso dopo una breve quanto aggressiva malattia che non gli ha lasciato scampo. I funerali sono stati celebrati dal vescovo di Mantova Marco Busca. Ecco alcuni stralci della sua omelia:

“Amen!”. È l’ultima parola di don Gianni. L’ha pronunciata con tutta la forza che gli restava al termine della preghiera con cui la chiesa raccomanda i moribondi: Parti, anima cristiana, da questo mondo…Mite e festoso ti appaia il volto di Cristo e possa tu contemplarlo per tutti i secoli in eterno. Don Gianni ha risposto il suo Amen: così è, così sia. Non è solo la sua ultima parola, ma la parola-sintesi di tutta la sua vita. Come era nel suo stile: breve, sintetico, essenziale, capace di riassumere tutto in una frase
immediata, senza fronzoli, autentica. Questi giorni sono stati un misto di dolore e di fede, di lacrime e di consolazione per il fiume di testimonianze di affetto e stima verso don Gianni confluite nella chiesa di S. Giorgio da ogni parte di Mantova. Il sentimento che ci ha accomunati è lo sgomento. La malattia così aggressiva e la sua morte repentina ci hanno presi di sorpresa. Non eravamo preparati a un distacco così rapido. Ma Gianni ha vissuto
all’insegna della velocità. Si scherzava sulle visite lampo coi seminaristi a una chiesa o a un museo, appena entrati era già ora di uscire. Il suo modo sbrigativo di chiudere le riunioni inconcludenti o le polemiche inutili aiutava a concentrarsi sull’essenziale.
Tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo. Accompagnando don Gianni in queste settimane ho intuito che lui era consapevole e si preparava alla morte. Era proverbiale la sua espressione “tanto morire bisogna morire”. Diceva di essere “fatalista”, non perché rassegnato a morire – infatti accettava le cure e con coraggio ha lottato contro sino alla fine – ma perché era affidato a
Dio. Lo esprimeva con alcune frasi semplici: siamo affidati, procediamo in pace. Come dice il salmista: “Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me”. Questo atteggiamento non s’improvvisa, è frutto di un allenamento lungo nella palestra del Vangelo” …………
“Il suo stile semplice, dimesso, immediato faceva di lui l’uomo dell’incarnazione, della ricerca di Dio nell’umano, testimone di un Dio dal volto umano. Anche i ruoli, molteplici e diversificati che ha ricoperto nella nostra chiesa, non erano un diaframma alle relazioni. Non esistevano cesure tra “il Gianni” con cui chiacchierare amichevolmente, il “don Gianni” prete, parroco e rettore, il “professore” di filosofia che si sedeva dietro la cattedra, il “vicario” per la pastorale. Era sempre lo stesso. L’informalità era la sua cattedra
preferita, l’aula di catechesi in cui si trovava più a suo agio. I seminaristi e i suoi studenti lo ricordano non tanto per istruzioni sistematiche ma per i tanti interventi, “agganciati” alla vita, suscitati dagli incontri e dalle esperienze. Istanti, frasi, momenti in cui era condensato tutto. Sembrava non stesse facendo niente, non stesse educando, non fosse pienamente compreso nel suo ruolo, e invece lanciava messaggi”……..
“Era filosofo di formazione. Cercava la nuda verità delle cose. Raccogliamo il suo motto “cosa vuoi che conti” (detto in dialetto, ovviamente), non come un inno alla superficialità e al qualunquismo, ma come il desiderio di soffermarsi su ciò che davvero “conta”, perché rimane per sempre. È l’invito a non prendere nulla troppo sul serio se non il Vangelo dell’amore verso Dio e per tutti. Questa Parola ci rende eterni. Sono
davvero poche le cose assolute e vale sempre la pena mettersi in discussione e accettare la fatica del cambiamento e della trasformazione. La sua tesi di laurea in filosofia è stata uno studio sulla teologia della croce e della speranza in J. Moltmann. Dopo l’ora della croce, don Gianni contempla la verità di Dio non più nella speranza ma faccia a faccia, nella semplice realtà del suo amore eterno”.