MANTOVA – Ci sono solo due uomini sul grande palco di piazza Sordello, ma le loro carriere valgono più di quelle di migliaia di carneadi messe insieme. Uno è Colin Greenwood, bassista e fondatore dei Radiohead, la band di Oxford che ha raccolto l’eredità del britpop e ha dettato le nuove regole della musica inglese. L’altro, ovviamente, è Nick Cave, il cui nome e la cui straordinaria carriera non necessitano di ulteriori presentazioni.
“Abbiamo fatto un lungo tour con i Bad Seeds, ma io e Colin avevamo ancora voglia di suonare e ci siamo imbarcati in un altro giro d’Europa”, spiega al pubblico mantovano un Cave loquace e in splendida forma. Pubblico che, in verità, arriva da tutto il nord Italia (oltre 1800 persone tra cui anche diversi stranieri) perché da domani il duo si sposterà verso il centro e il sud Italia, con una data anche a Pompei.
Il set di questo nuovo tour, quantomai minimale, va dritto al nocciolo delle canzoni di Cave, considerato da più parti uno dei più grandi cantautori in assoluto, e non solo tra quelli ancora in vita. Seduto al pianoforte, declama i brani con quella voce baritonale così celebre spezzando il silenzio religioso di una piazza Sordello gremita e reverente, con Greenwood che fa da contrappunto, sparuta presenza di una sezione ritmica fantasma.
Il repertorio, come da previsioni, si snoda tra brani recenti e datati della lunghissima carriera del bardo australiano. Si parte con una accorata “Girl in Amber”, ci si districa tra le giravolte di “Higgs Boson Blues”, quasi ci si commuove con l’ambientazione fanciullesca di “Our children”, scritta diverso tempo fa osservando i figli giocare. Del nuovo repertorio spicca una “Joy” che non ha nulla da invidiare alle canzoni di album ormai mitologici come “Dig Lazarus Dig”. Difficile non avvertire un brivido con il binomio formato da “The Mercy Seat” e “The Ship Song”, pezzi da novanta di una carriera che qui, in questa serata miracolosamente priva di afa, si spogliano di ogni orpello e giungono al nocciolo della questione. Due soli uomini sul palco, ma quelli giusti.
Fotoservizio di Riccardo Trudi Dorallevi