REVERE (BORGOMANTOVANO) Si è svolta sabato 29 scorso la Commemorazione di Umbertina Smerieri uccisa il 25 marzo 1945 a Revere, ad un mese dalla Liberazione, dopo le più orrende torture, con una raffica di mitra l’attimo successivo che il suo corpo, ancora in vita, era stato buttato nel fosso accanto alla strada statale dal camion dei fascisti.
Davanti al cippo in ricordo della partigiana erano presenti il sindaco di Borgo Mantovano Alberto Borsari, il vice Sergio Faioni oltre all’assessore Simona Marcolin e alla docente Mara Manzoli insieme a due rappresentanti del Consiglio Comunale delle Ragazze e dei Ragazzi.
Nacque a S. Giustina Vigona, località mirandolese della provincia di Modena, l‘8 Agosto 1920. La sua era una famiglia contadina, antifascista composta da lei, i genitori e tre fratelli che, dopo l’ingresso in guerra, furono costretti ad imbracciare le armi. In quegli anni Umbertina si innamorò ed ebbe un figlio, ma occorreva, ora, che lei fosse autonoma e non gravasse più sulla famiglia, occorreva trovare un lavoro. Per questo si trasferì a Mirandola all’inizio del 1943. iniziò a lavorare alla caserma fascista di Mirandola.
L’inizio della sua attività di staffetta
Tempo dopo conobbe “Caris”, comandante del IX distaccamento del Battaglione “Carlo”, con il quale cominciò a collaborare, rubando delle pistole nella caserma nella quale lavorava. I fratelli le chiesero di diventare staffetta del loro Gruppo di Azione Patriottica e da allora il suo nome di battaglia fu “Marisa”. Continuò la sua attività di staffetta, cominciando a lavorare non solo per il GAP ma per tutti quelli del distaccamento. Si spostava da Mirandola a Fossa, a Concordia, a S. Possidonio in bicicletta sotto qualsiasi tempo e sotto qualsiasi rischio. Essere scoperti significava la cattura, la tortura, spesso la morte.
La battaglia, il tradimento, l’arresto
La notte tra il 23 e il 24 febbraio, una coalizione di gruppi di azione partigiana attaccò la caserma di una Brigata Nera a Concordia. L’azione si concluse con successo per le formazioni partigiane, che dimostrarono l’efficienza della resistenza nella Bassa, mettendo in allarme i comandi tedeschi e fascisti. Durante il combattimento, i partigiani arrestarono un individuo noto come il “Questurino”. In una decisione che contraddisse le regole di prudenza del movimento clandestino, il prigioniero fu portato alla “Cà Bianca”, uno dei principali punti di riferimento partigiano. Interrogato, il “Questurino” promise collaborazione e, pur essendo tenuto sotto sorveglianza, ricevette una certa fiducia. Nei giorni successivi, Umbertina si recò alla Cà Bianca, e il “Questurino” colse l’occasione per osservarla. Tuttavia, poco dopo, la repressione contro i partigiani di Concordia si intensificò molti furono torturati e uccisi. Quando si scoprì che il “Questurino” era fuggito, ci si rese conto con sgomento che si trattò di una spia infiltrata fascista, la quale fornì i nomi di tutti quelli che aveva incontrato alla Cà Bianca.
L’arresto di Umbertina, le torture, la morte
Il 10 marzo 1945 fu così organizzata una massiccia retata, durante la quale Umbertina venne arrestata insieme ad altre partigiane. Imprigionata in una villa di Concordia utilizzata dai fascisti come prigione, fu sottoposta a ripetute torture e aggressioni nel tentativo di farla parlare. Nonostante i terribili metodi, lei e le altre detenute non cedettero e rimasero in silenzio. Mentre molte partigiane vennnero poi rilasciate, Umbertina fu trattenuta perché “troppo preziosa” per il nemico. La situazione aggravò ulteriormente con l’avanzare della Liberazione, quando i fascisti cominciarono a ritirarsi da Concordia. Il 29 marzo, la villa in cui Umbertina era prigioniera fu sgomberta, con il conseguente ritiro delle truppe verso Verona. Tuttavia, il silenzio di Umbertina venne considerato dai fascisti come l’ultimo, più grave atto di resistenza. Ancora prigioniera, la partigiana venne trasportata a Revere, dove fu uccisa e abbandonata per strada, a meno di un mese dalla Liberazione d’Italia e dalla sua stessa morte.