BANCOLE (PORTO MANTOVANO) Il 17 maggio 1950, a Bancole, venne ucciso Vittorio Veronesi, partigiano, dirigente del movimento bracciantile. A lui, insieme a Giuseppina Rippa, è intitolata la sezione Anpi della Camera del lavoro di Mantova.
“L’Anpi di Mantova avrebbe voluto ricordarlo con una breve cerimonia al cippo che ricorda quel drammatico evento – spiega il presidente provinciale Luigi Benevelli – ma le disposizioni in vigore per il controllo della pandemia impediscono di farlo.
Per questo l’Anpi ha preparato la nota che segue redatta a nome dell’Associazione da Emanuele Bellintani, autore del libro “Terra non guerra”, Sometti editore, 2019.
Vittorio Veronesi: dopo settant’anni la tragedia di un lavoratore mantovano morto durante le lotte bracciantili ci interroga ancora.
Sul brutale assassinio del bracciante Vittorio Veronesi è sceso da anni l’oblio; così come il contesto storico, sociale e politico in cui è stato compiuto. La polvere del tempo e di una dimenticanza condivisa ha coperto la vita e la morte di uno di noi, di un lavoratore delle nostre campagne ucciso dalla barbarie dello sfruttamento, ha rimosso il tentato “assalto al cielo” di una generazione di giovani lavoratori appena usciti dalla guerra. Con loro tutta un’epoca è sparita dalla memoria collettiva, levandoci gli “occhiali” necessari per leggere l’attualità. Nel settantesimo anniversario di quei fatti di sangue del 1950 è tempo di riannodare i fili della memoria.
Vittorio Veronesi durante la guerra era stato partigiano garibaldino. In quegli anni perse due fratelli: uno -anch’egli partigiano- fucilato dai nazisti a Bologna, l’altro morto nella Campagna di Russia. La conquista della Liberazione aveva acceso forti speranze in giovani donne e uomini, tradite di lì a poco, quando la generazione di Veronesi vide tornare gli ex-fascisti ai propri posti di “prima”: nelle prefetture, sulle cattedre, nei tribunali e a capo delle fabbriche. Anche per i lavoratori della terra ci fu l’amara sorpresa di ritrovare i gerarchi senza più camicia nera e fez nello stesso ruolo di pochi anni prima, ovvero di padroni agrari e latifondisti.
È l’epopea delle lotte bracciantili 1947-1954 quella di cui stiamo parlando, che ebbe il culmine tra il 1949 e il 1950. Per i giovani affamati di pane e dignità portati in grembo proprio quando il terrorismo fascista colpiva le campagne, quello fu un “biennio rosso” dove cercare di compiere la palingenesi rivoluzionaria. In quel periodo Vittorio Veronesi, oltre ad essere lavoratore della terra è organizzatore sindacale e dirigente della Federazione Giovanile Comunista appena rifondata da Enrico Berlinguer. I quaranta epici giorni di sciopero del 1949 che sconvolgono non solo il Mantovano, ma tutta l’Italia sono una storia immensa di tenacia, lotta e sacrificio contro l’arroganza e lo sfruttamento. A noi avrebbe ancora da raccontare il senso più alto della solidarietà tra lavoratori, della partecipazione e della disobbedienza all’ingiustizia, proprio quando queste sembrano scomparse. Il 1950 non fu da meno con un’altra primavera di lavoro nelle campagne segnata da lotte sindacali aspre e senza esclusione di colpi.
La notte del 17 maggio, Veronesi si recò presso la corte Schiarino-Previdi Porto Mantovano insieme a due compagni per una ronda anti-crumiri: lì venne colpito a morte dai colpi sparati dall’agrario Grazioli e dai suoi guardaspalle. Il suo corpo agonizzante venne portato oltre la ferrovia e abbandonato vicino ad un fosso, dove oggi una lapide ne ricorda il barbaro omicidio. Furono giorni di dolore e collera in tutta la provincia, di tensione e di commozione, sciolti nella imponente manifestazione di commiato che inondò la città di Mantova con le lacrime di oltre centomila persone. Com’è stato possibile che una vicenda così tragica in un contesto che -data la portata di massa di quelle lotte- dovrebbe far parte del nostro “corredo genetico” di mantovani (e italiani) sia diventata un cono d’ombra nella storia?
Settant’anni dopo il mondo è formalmente diverso, ma anche così simile a quello di Vittorio Veronesi: giovani lavoratori sopravvivono con salari da fame, contratti ingiusti e la loro dignità è sacrificata sull’altare del profitto. Nelle campagne lo sfruttamento, il caporalato e il disprezzo per la vita umana sono tornati, aggravati dal razzismo; e si muore, ancora. Nel 2008 il bracciante Vijay Kumar lavorava nella raccolta dei meloni nel Viadanese: il 27 giugno ebbe un malore a causa del caldo eccessivo e non venne soccorso. Per un inquietante parallelismo, anche qui il padrone dell’azienda fece portare il corpo morente del lavoratore lontano dalla tenuta, vicino ad un fosso.
Proprio così, da questi ricorsi storici e da un mondo ingiusto si alza un vento nuovo, che inizia a soffiare per togliere la polvere dalla memoria e farci incontrare i nonni, le cui idee, storie e rivendicazioni bussano alla nostra porta per indicarci una via, nello smarrimento di quest’epoca.
Emanuele Bellintani