“Cosa succederà in Afghanistan? Non lo sappiamo, ma sappiamo qual è la nostra priorità: abbiamo a Kabul 20 ragazze afghane che facevano parte del nostro staff e che per 18 anni hanno lavorato per i diritti delle donne e che in questo momento sono barricate in casa perché i talebani stanno girano casa per casa alla ricerca di persone che abbia collaborato con gli occidentali”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia Silvia Redigolo di Pangea, Onlus presente a Kabul dal 2003 con progetti di microcredito e formazione professionale per le donne afghane. “Il nostro è un percorso di crescita a 360 gradi per le donne afghane, non è assistenziale o sanitario e per questo dà fastidio ai per i talebani. In questo momento rischiamo la vita ed è questo il motivo per cui l’altro giorno abbiamo dovuto bruciare tutti gli archivi perchè se i talebani trovano un nome di chi ha collaborato con gli occidentali vanno a colpire a colpo sicuro”. In questo momento la Onlus non ha a Kabul personale italiano. “Purtroppo -dice Redigolo- perchè se ci fossimo stati avremmo portato via le ragazze che lavorano con noi”.
Donne a rischio denunce vicini e amici
“Queste donne rischiano stupri e violenze e, come tutti, rischiano la vita”, spiega Redigolo che non crede alle affermazioni talebane su una ‘transizione pacifica’. “Spero di essere smentita -aggiunge- ma al momento dico quello che mi dicono le mie colleghe a Kabul e cioè che passano le giornate chiuse in casa, che hanno paura di sentire bussare alla loro porta perché sanno che per loro sarebbe la morte. Le visite casa per casa dei talebani sono già iniziate, e tra poco inizieranno le denunce dei vicini e degli amici, perché ognuno in quella circostanza cerca di salvarsi la pelle”. Comunque una cosa è certa, afferma Redigolo: “Il progetto continuerà, anche se devo dire con onestà che esattamente come continuerà non lo so, ma una cosa è sicura: Pangea non abbandonerà gli afghani”.
Priorità ora corridoio umanitario
“La priorità ora è istituire un corridoio umanitario per le donne afghane” dice ad Adnkronos/Labitalia Silvia Redigolo. “Abbiamo in Afghanistan un progetto bellissimo di microcredito per le donne, ma che in realtà è un percorso a 360 gradi che le donne fanno con noi: si parte dall’alfabetizzazione, da corsi di aritmetica, igiene, salute riproduttiva, corsi di formazione professionale dopodiché le donne accedono a un microcredito e avviano la loro attività imprenditoriale. Ci sono donne che, da sole, riescono a mantenere la famiglia, che come sappiamo, nel contesto afghano, è composta magari anche da 8 bambini, riescono a mandarli a scuola, a comprare il cibo, le medicine, insomma un traguardo importantissimo”, dice Redigolo che annuncia anche una raccolta fondi per l’emergenza Afghanistan dal sito di Pangea. “Nel 2003 le donne ci dicevano ‘io non esisto’, oggi le donne ci dicono ‘sono un’imprenditrice, ho consapevolezza dei miei diritti’ e quindi questo in Afghanistan è la risoluzione. Allo stesso tempo questo rende il nostro progetto scomodo, perché non è un progetto assistenziale o sanitario che può far comodo ai talebani, al contrario è un progetto che ai talebani dà fastidio”, afferma l’esponente di Pangea.
Distribuiti più di 5.000 microcrediti aiutate 50.000 donne
“In questo anni abbiamo distribuito più di 5.000 microcrediti le donne aiutate sono più di 50.000, ma la cifra va anche moltiplicata per tutti i bambini che hanno usufruito della formazione della mamma per cui aumenta di molto. Abbiamo sempre lavorato bene anche perchè i risultati del lavoro di Pangea sono tangibili: nel momento in cui le donne vedevano cambiare la loro vita, vedevano benessere economico e un riconoscimento dei loro diritti (anche attraverso i soldi che riusciva a portare a casa, la donna era più rispettata), ogni donna diventava un esempio per le altre donne. E molti uomini ci hanno telefonato per ringraziarci e per dire ‘avete aiutato la nostra famiglia'”, conclude. (di Mariangela Pani)