‘Altramoda’ compie 15 anni, abbigliamento green da filiera etica

(Adnkronos) – L’imprenditrice marchigiana green Elena Mancinelli festeggia i 15 anni dalla creazione del suo Brand Altramoda ed entra nel mercato francese, tedesco e inglese. Il marchio italiano ‘Altramoda’ nasce nel 2009, quando Elena Mancinelli, sua fondatrice, decide con la famiglia di investire nel mondo dell’abbigliamento con la stessa passione e integrità con i quali si era avvicinata all’agricoltura biologica e al cibo naturale, e credendo convintamente che si possa produrre moda riducendo al minimo l’inquinamento e, allo stesso tempo, offrire il miglior servizio alle persone che amano i tessuti naturali. Nasce così un abbigliamento biologico con capi senza tempo e sostenibili che si possono indossare sempre per il proprio benessere e piacere. Altramoda.net è un brand con un sito BtoC dove le persone e le famiglie, possono trovare esclusivamente indumenti ipoallergenici, rispettosi dell’ambiente e con filiere etiche e certificate di produzione nonché un ottimo rapporto qualità/prezzo sul mercato.  

“Sostenibilità, Riciclo, etico e Bio sono parole che alludono alla necessità di relazionarsi in maniera più consapevole con gli altri esseri umani e con la Natura, passando da un modello predatorio e di massimo sfruttamento a un sistema che possa rigenerarsi riducendo il proprio impatto ambientale e sociale. Poi, naturalmente bisogna fare dei distinguo, perché ci sono persone e aziende seriamente impegnate in questo ambito dagli anni ‘70 del secolo scorso, fino all’estremo opposto del puro greenwashing”, sottolinea Elena Mancinelli, che nella sua azienda porta anche la sua visione al femminile: “In un mondo in veloce cambiamento, dove è sempre più diffusa la sensazione di essere in un certo senso arrivati al capolinea, il femminile è naturalmente portato a prendersi cura e a vedere come missione il benessere del gruppo, della famiglia, dell’azienda. Le imprenditrici sono naturalmente predisposte ad ascoltare, a mettersi in discussione e a migliorarsi, perché non lo fanno solo per se stesse, ma anche per lasciare un mondo più sano e pulito possibile alle generazioni future”.  

“Inoltre, hanno spesso un ideale da concretizzare, semplicemente perché non si tratta solo di profitto, ma anche di manifestare la propria creatività e progettualità. Tra le imprenditrici donne c’è molta aspirazione ad emergere, ma come alternativa ad una società verticistica piramidale in cui siamo cresciuti. Vedo sempre più progetti in cui il denaro non è il fine ma semplicemente il mezzo per raggiungere un obiettivo più grande, che è spesso sostenibile proprio perché vuole migliorare il sistema”, aggiunge. 

Ma cosa si intende per ‘moda consapevole’? “Il termine consapevole nella nostra società – chiarisce l’imprenditrice – è un po’ generico e si rischia di renderlo una copertina per tanti proclami differenti: dalla protesta contro la fast fashion ai consigli per uno shopping più o meno sostenibile. Sei consapevole quando non agisci per automatismo, ma senti, leggi, rifletti, respiri. La moda è innegabilmente legata all’idea di bellezza, ma ognuna di noi deve vivere questo valore, e trovare l’abbigliamento che ti fa stare bene, rispetta la tua pelle e ti fa risplendere. Il primo passo è sapere che vestirsi è un’azione per avere cura di te. Un’imprenditrice consapevole potrà decidere come investire in maniera etica, aumentare la qualità e la durevolezza dei prodotti, prendere in considerazione la responsabilità sociale e fornire informazioni trasparenti ai clienti. D’altra parte, anche i consumatori consapevoli dovrebbero dedicare più tempo a leggere le etichette ed evitare di abbandonarsi agli acquisti compulsivi di abbigliamento a basso costo e che diventa spazzatura in breve tempo: ‘less is more'”. 

C’è poi il concetto del riciclo nel campo dell’abbigliamento. “Il riciclo è un discorso sempre complesso, diciamo – osserva – che principalmente dobbiamo buttar via il meno possibile, acquistando all’origine abbigliamento di qualità in fibre naturali, e quindi attivare i passaggi successivi che sono: cura e lavaggio corretti, rammendo in caso di piccole imperfezioni, regalare a conoscenti ciò che non mettiamo più e poi proprio per ultimo buttare nella raccolta differenziata degli abiti. Quest’ultima non è fare della beneficenza, ma spostare il problema, perché la maggior parte dei vestiti che buttiamo finisce in discarica. Non da noi, ma in vari luoghi del cosiddetto Sud del mondo, Africa, India, Sud Est Asiatico. Per quanto riguarda il fine vita dei vestiti è molto più facile riciclare le fibre naturali come puro cotone, pura lana, perché si riesce a dar vita ad un filato rigenerato, quindi anche qui c’è un invito a evitare l’acquisto di capi sintetici (tranne quelli funzionali perché impermeabili, tecnici, ecc) e guadagnare così nel benessere della nostra pelle e del pianeta”. 

“Il greenwashing, ossia darsi una patina di società attenta all’ambiente, anche se non è così, esiste da decenni, ancor prima – avverte – che utilizzassimo questa parola inglese. Venendo dal mondo dell’agricoltura biologica, direi che il problema è legato allo stesso sistema di certificazione e controllo. Dagli anni ‘80 si è deciso che si potevano certificare Bio-Eco ecc, anche singole linee di prodotti, mentre sarebbe stato più impattante certificare solo le aziende che decidevano di sposare al 100% la filosofia della sostenibilità, escludendo quelle che volevano immettere sul mercato solo una linea bio/eco/green/sostenibile e continuare per il resto a produrre in maniera convenzionale. Lo stesso secondo me è per la moda, individuare marchi che fanno un’esclusiva scelta di sostenibilità ed etica al 100%, e non solo la ‘capsule’ sostenibile stagionale. Così avrete investito in una azienda che considera la sostenibilità una vera missione e non solo un proclama”. 

Ed Elena Mancinelli fornisce anche dei consigli ai clienti che approdano in Altramoda.net. “La prima cosa che consiglio – dice – è di partire dall’abbigliamento intimo e dalla lingerie. Perché è il primo strato a contatto della nostra pelle, e quindi dobbiamo prendercene cura iniziando ad eliminare assolutamente tutte le fibre sintetiche, che sono causa di dermatiti e irritazioni. Sicuramente il formato video, magari visibile anche tramite QR code sulle etichette, è un modo smart, efficace e leggero per dare informazioni. Per un’azienda è un investimento di risorse, tempo e ricerca, in un mondo in cui ci sono anche ‘troppe’ info su tutto. Negli anni abbiamo visto che sono molto apprezzati i tutorial sul lavaggio, sul come trattare fibre delicate (lana, seta, cashmere), perché ormai abbiamo conoscenza diretta solo dell’abbigliamento sintetico e in misto cotone, che laviamo con noncuranza, e le molte lavatrici sono realizzate principalmente per questi tessuti”. 

“Altramoda da ormai 15 anni seleziona abbigliamento, intimo e accessori con criteri di sostenibilità. Alcune fibre hanno una vera e propria certificazione biologica come il cotone da agricoltura biologica e la lana da allevamento biologico. Di pari passo proponiamo tessuti naturali non certificati come la canapa tessile, la seta, e alcune viscose con un processo produttivo controllato e a ridotto impatto ambientale, come ad esempio il Tencel, il Modal, l’Ecovero che derivano dalla polpa di legno. Quando cerchiamo dei fornitori guardiamo in prima istanza ad aziende italiane o europee, mentre la fornitura sui mercati asiatici avviene quando troviamo anche una certificazione sulle condizioni di lavoro come ad esempio Fairtrade per il cotone e FairWear per la canapa”, assicura. 

“Il mercato è molto vario e in continuo cambiamento. Piace molto l’idea dell’abbigliamento biologico, ma a livello concreto siamo ancora molto indietro rispetto al Nord Europa. È una scelta di nicchia ancora, ma non per questo non vale la pena di investirci, bisogna individuare bene il target”, conclude Elena Mancinelli. 

(Adnkronos)