Canapa e altre fibre naturali, con Roger il vaso biodegradabile ed economico

(Adnkronos) – Biodegradabile, economico, sostenibile. E’ il nuovo vaso in fibre naturali, canapa industriale in primis, realizzato dall’azienda italiana Roger, con l’obiettivo di rivoluzionare, in modo sostenibile, il settore florovivaistico, sostituendo i vasi in plastica.  

“Il settore florovivaistico, da una decina d’anni -racconta ad Adnkronos/Labitalia Giampaolo Teti, fondatore e amministratore di Roger, Master di I Livello in Sostenibilità socio ambientale delle reti agroalimentari ed esperto nella prima lavorazione e trasformazione della canapa industriale- affronta delle importanti difficoltà a cui deve far fronte. In primis, il riscaldamento climatico e di conseguenza tutte le leggi europee che stanno spingendo verso una transizione ecologica entro il 2050. Stiamo parlando di tasse sul consumo di plastica che ovviamente si riflettono sui vari prodotti utilizzati nel florovivaismo, tra cui in particolare il vaso in plastica, che ovviamente è quello che ne determina un consumo maggiore”. 

E in questo bisogno di transizione si inserisce l’idea innovativa di Roger, nata in provincia di Cuneo, in Piemonte. “Sono appunto anni che si cerca un sostituto al vaso di plastica -spiega Teti- e la difficoltà è competere con la sua economicità e resistenza. Esistono oggi dei vasi biodegradabili commercializzati, ma il nostro vaso in fibre naturali si presenta come unico in questo scenario perché grazie al suo materiale in fibra naturale riesce ad essere resistente e altrettanto economico. La resistenza avviene grazie al processo innovativo proposto, che ne realizza un semilavorato con spessori che possono variare e collanti naturali utilizzati che possono essere scelti sulla base dei tempi di biodegradabilità richiesti, a differenza delle diverse destinazioni del prodotto”. 

Un’idea innovativa che si candida a ‘spazzare’ il vecchio vaso in plastica, che soffre già da un po’ per diverse ragioni. “I prezzi dei vasi in plastica -sottolinea Teti- sono aumentati, e poi c’è l’impatto dei costi di trasporto e di smaltimento, visto che è un rifiuto speciale, deve seguire le logiche di smaltimento e non tutti i vivai hanno quantitativi minimi per potersi muovere indipendentemente. E il vaso in plastica obbliga anche a un travaso e comporta ulteriori costi in quanto ovviamente da un vaso più piccolo si passa a un vaso più grande”, fa notare.  

E la proposta di Roger nasce già con un’idea di uso trasversale. “È un semilavorato -sottolinea- biodegradabile compostabile che può assumere qualsivoglia forma tridimensionale. Quindi abbiamo un ventaglio molto ampio che può inserirsi in più settori. Il settore florovivaistico è stato scelto proprio perché c’è un forte bisogno, imminente, a risolvere, delle problematiche importanti per loro consumo eccessivo di vasi in polietilene”.  

Ma non finisce qui: il nuovo vaso di canapa industriale e altre fibre naturali può avere un ruolo decisivo nella sostenibilità dell’ambiente. “Le fibre utilizzate -dice Teti- arrivano da colture ad ampio assorbimento di anidride carbonica. Parliamo, ad esempio, del bambù, del kenaf o della canapa industriale. Quest’ultima è quella fibra che ci permette di andare ad impattare economicamente, ci permette di offrire un prodotto vaso economico. Questo perché la coltura della canapa industriale è una coltura molto povera, che però produce per ogni ettaro un’ampia quantità di biomassa secca. Per fare un esempio concreto e diretto, stiamo parlando di un ettaro che produce quanto quattro ettari di bosco. E’ una pianta che cresce in un ciclo di sei mesi e, in certi territori e contesti ambientali, si possono fare anche due cicli di produzione annuali, al contrario del bosco che ovviamente cresce in almeno dieci anni. Questo serve per rendere l’idea della quantità della fonte rinnovabile che può produrre”.  

E il vaso in fibre naturali è ormai già qualcosa in più che un’idea. “Abbiamo chiuso i primi due anni di ricerca e sviluppo, e ora abbiamo avviato la comunicazione e la ricerca fondi per avviare il progetto industriale. Parallelamente abbiamo realizzato il prodotto vaso che ha superato la fase di prototipo. Abbiamo un piccolo impianto, quello con il quale abbiamo fatto la ricerca e sviluppo, e che allo stesso tempo è operativo e può produrre una produzione di vasi, ovviamente in piccola scala che ci permette di inserirci nel mercato del piccolo consumatore di città, dell’amante delle piante e dei fiori”, ricorda Teti.  

L’obiettivo è conoscere e farsi conoscere, per far ‘camminare’ una proposta che dalla sua, secondo Teti, ha una parola chiave: concretezza. “La nostra idea è di una sostenibilità concreta. A monte andiamo a utilizzare non solo, appunto, una coltura che può impattare a livello economico e quant’altro, ma una coltura ad ampio assorbimento di energia carbonica. Quindi che già ci permette di impattare e bilanciare le emissioni che si creeranno nel processo produttivo. Una produzione che è esclusivamente di prodotti compostabili e biodegradabili, e che vanno oltre il vaso. Quindi stiamo parlando di inserirci in più settori con più coltura ubiquitaria, ovvero coltivabile in qualsiasi parte del mondo. E quindi stiamo parlando di una moltiplicazione degli impianti in distretti e regioni differenti, andando quindi a rifornire le produzioni e le aziende limitrofe”, osserva.  

L’obiettivo, per Teti, è chiaro, con vantaggi per gli operatori e per il Pianeta. “Se a monte acquisiamo un’ampia quantità di energia carbonica, a valle andiamo invece a eliminare i costi, non tanti i costi di trasporto, quanto le emissioni per il trasporto, creando quindi una perfetta economia circolare concretamente sostenibile. Proprio perché, come ad esempio con il vaso biodegradabile, noi andiamo in tutto e per tutto a sostituire un prodotto inquinante con un prodotto che invece torna alla terra e che apporta dei vantaggi ambientali, salutari e anche economici per tutti, per il mondo, per la sua sostenibilità. E la pianta stessa, per tornare al vaso, gode di vantaggi per il suo sviluppo. Ad esempio, evitare il travaso gli evita uno shock da trapianto. E al vivaista, perché non solo entra in una perfetta economia circolare, con l’eliminazione di tasse sulla plastica e i costi di smaltimento, ma riesce a eliminare anche alcune fasi di lavoro, come ad esempio il travaso”, conclude.  

(Adnkronos)