“La design industry è l’ultima in ordine di tempo a rivolgere lo sguardo alle opportunità offerte dall’Open innovation. Questo rappresenta un limite e allo stesso tempo una grande opportunità, perché il valore potenziale da creare è enorme in un settore strategico per l’Italia che impatta la vita di milioni di persone nel mondo”. Ad affermarlo, in un’intervista ad Adnkronos/Labitalia, Ivan Tallarico, Ceo di Hi Interior, l’innovativa start-up che scommette sul connubio tra design, arredo e tecnologia per creare un cambiamento tangibile nel modo di intendere il prodotto. “Possiamo affermare, senza rischio di essere smentiti, che i primi passi mossi dal settore in questa direzione in Italia – assicura – sono coincisi con l’azione di Hi-Interiors, che ad aprile 2019, durante la Design Week, ha lanciato la prima iniziativa di open innovation HiHack con l’obiettivo di far incontrare aziende e professionisti del settore con startup capaci di offrire tecnologie e soluzioni potenzialmente disruptive per l’industria del design”.
Ma cosa significa open innovation, in particolare in un settore come il made in Italy? “Open Innovation – spiega – è letteralmente ‘innovazione aperta’. Si pensi a un tipo d’innovazione collaborativa basata sulle nuove frontiere della tecnologia, realizzata in collaborazione con startup e altri agenti di innovazione esterni al perimetro aziendale. La linea guida che suggeriamo per le piccole, medie e grandi aziende che partecipano ai nostri programmi di open innovation è quella di ‘arricchirsi’ con il contributo di diversità apportato dalle startup, le quali hanno maggiori competenze nelle tecnologie trasformative per migliorare i servizi offerti unitamente al prodotto, il processo di produzione o la tecnologia dei materiali”.
“Le aziende coinvolte possono così, grazie alle startup, continuare a crescere in nuovi segmenti di mercato offrendo nuovi prodotti e servizi, oppure accrescere la propria penetrazione nei segmenti già presidiati grazie all’introduzione di nuovi modelli di business abilitati dal cambio di paradigma tecnologico. Di solito, diciamo che la startup pensa molto ‘fuori dagli schemi’ e l’azienda pensa molto ‘dentro gli schemi’, a causa della cultura aziendale (dei silos), della burocrazia, dei problemi quotidiani (come ad esempio garantire il flusso di cassa o le consegne) che catturano tutta l’attenzione del team. L’innovazione aperta consente di unire il meglio di questi due estremi, portando idee e soluzioni dalla new economy all’economia reale, facilitando la collaborazione tra startup che hanno soluzioni spesso interessanti, ma prive di validazione, e aziende consolidate che hanno accesso al mercato e sono pertanto in grado di validare velocemente tali soluzioni con clienti ‘early adopter'”.
Un aspetto, appunto, fondamentale per il made in Italy. “Il made in Italy tanto apprezzato nel mondo – prosegue Ivan Tallarico – è fatto da aziende che sono nella stragrande maggioranza pmi, spesso a gestione familiare o padronale, che custodiscono un patrimonio di tradizione, creatività, know how industriale e artigianale unici al mondo. Questi valori, però, da soli non bastano più per difendere la storia spesso pluri-decennale di queste aziende e proiettarle nel futuro, perché servono competenze nuove spesso difficili da reperire o attrarre all’interno delle stesse. Pensiamo alle nuove e tanto richieste figure professionali quali data scientists, software architects, cloud architects, hardware engineers, Ai engineers, Ux/Ui designers, esperti di stampa 3D, per citarne solo alcune delle più richieste”.
“Immaginiamo, per esempio, la necessità, e al tempo stesso la difficoltà, per un’azienda manifatturiera che produce mobili di dover sviluppare e integrare Iot all’interno di un divano o di un letto, di dover poi creare l’intelligenza artificiale che consente di analizzare in tempo reale i dati generati da tali device per consentire a questi oggetti, fino a ieri inerti, di interagire con le persone e l’ambiente costruito, di adattarsi a stili di vita mutevoli, di erogare servizi connessi alla cura o al benessere della persona negli ambienti di vita. Tutti bisogni che la pandemia ha reso molto evidenti e urgenti, generando una domanda potenziale di nuovi prodotti e servizi ancora quasi del tutto insoddisfatta. In questo senso, l’innovazione aperta rappresenta una straordinaria opportunità per attrarre talenti, motivarli e valorizzare la loro attitudine imprenditoriale senza soffocarli nella rigidità di una struttura aziendale complessa”, ribadisce.
“Il tessuto di imprese che caratterizza il made in Italy nel nostro settore, per limiti dimensionali e spesso culturali, è meno preparato a cogliere le opportunità di innovazione aperta, ma nel contempo è quello che ne ha maggiore bisogno, perché le pmi faticano ad avere al proprio interno un’area di innovazione strutturata, come può essere il caso delle grandi aziende, che pure hanno capito che spesso innovare fuori consente di andare più veloci e di essere più efficaci. In ambito design, l’opportunità di connettere l’eccellenza del made in Italy con tecnologie sviluppate in tutto il mondo è enorme: il nostro compito in qualità di attori dell’ecosistema è quello di promuovere una mentalità aperta anche da un punto di vista territoriale e facilitare e abilitare scambi tra Team italiani ed internazionali”, avverte.
“Siamo all’alba di un periodo di grande trasformazione delle nostre abitudini di vita, con profondi impatti sul modo con cui verranno costruiti e arredati gli spazi in cui viviamo e lavoriamo quotidianamente. Per questo, c’è grande curiosità da parte dei principali operatori del mercato dell’arredo, delle costruzioni e dell’architettura nei confronti della nostra attività, ma i numeri di ingaggio sono ancora incipienti rispetto al potenziale, seppure i primi risultati ottenuti siano già positivi e incoraggianti. Il primo programma di open innovation che abbiamo lanciato nel 2020 ha raccolto l’adesione di circa 20 aziende, quasi 40 startup e scaleup e altrettanti designers provenienti complessivamente da 7 diversi paesi. Quindi, non solo realtà italiane, ma anche internazionali. L’idea è, infatti, quella di puntare ad attrarre in Italia e a Milano le realtà più innovative, provenienti dai principali ecosistemi di innovazione globali, per portarle a lavorare con i più prestigiosi brand del made in Italy e con le aziende multinazionali che hanno scelto di basare qui le loro attività di ricerca e sviluppo”, racconta Ivan Tallarico.
“Il tema specifico declinato da questo programma – ricorda – è stato il Workplace del futuro e vede come ‘testbed’ per i progetti nati dalla collaborazione tra aziende, startup e designer, gli spazi di coworking del DesignTech all’interno del nuovo Milano Innovation District (Mind) che inaugureremo ad inizio 2022. I progetti selezionati saranno, infatti, inseriti nel progetto di allestimento del nostro coworking e testati in ambiente reale dalla nostra community per offrire feedback preziosi sulla user experience. Inoltre, le aziende e le startup beneficeranno di opportunità di visibilità e fornitura nei confronti dei futuri tenant di Mind”.
“È vero che l’innovazione, soprattutto quella tecnologica, spesso può spaventare. La sfida che ci vede protagonisti non è quella di sostituire o rimpiazzare il vecchio con il nuovo, ma è letteralmente quella di coniugare e fondere nuovi saperi e tecnologie con la tradizione, esaltando il valore e la bellezza del made in Italy. Così facendo, sarà possibile avvicinare l’interesse delle nuove generazioni per i settori tradizionali, scongiurando il rischio di perdere mestieri e competenze che rendono la produzione manifatturiera italiana (in settori come la moda e il design) tanto gloriosa nel mondo, accrescendone il potenziale di esportazione. L’innovazione può anche aiutare a rendere più accessibili tali produzioni sfruttando processi di fabbricazione digitale, anche in cloud, che riducono impatto ambientale e costi. Sogno, dunque, che l’Italia possa tornare ad essere la culla di un nuovo rinascimento in cui le aziende svolgono il ruolo di ‘mecenati’ supportando le ‘botteghe’ delle startup e dei designer che sono gli ‘artisti’ del presente e del futuro, coinvolgendo i nostri artigiani, che tutto il mondo ci invidia, come maestri, per creare il futuro della manifattura all’intersezione tra digitale e analogico”, conclude.